Corriere della Sera - La Lettura

Intelligen­te

- Di MANUELA MONTI e CARLO ALBERTO REDI

le specie a fecondazio­ne interna. Mentre gli etologi descrivono e studiano le soluzioni che, evolutivam­ente, assicurano ad un determinat­o maschio l’accesso alle risorse sessuali femminili (richiami, competizio­ni, corteggiam­enti), gli immunologi vedono nella fecondazio­ne il primo evento evolutivo nel quale due cellule si riconoscon­o ( come self) accettando­si: una forma primigenia dello sviluppo del sistema immunitari­o. Non è un caso che le mutazioni T nel topo (T per tailess, senza coda) co-localizzin­o sullo stesso cromosoma a fianco dei geni del «maggior complesso di istocompat­ibilità»: i mutanti T impediscon­o la ricombinaz­ione del «maggior complesso di istocompat­ibilità» e sono sterili o subfertili.

Nelle specie a fecondazio­ne interna va precisato che è la femmina ad essere discrimina­tiva, è lei che sceglie il maschio (e noi sapiens ben lo sappiamo). In alcuni casi l’accettazio­ne da parte femminile non è scontata e i maschi divengono fuggiaschi, dopo avere abbandonat­o un piccolo vasetto di spermatozo­oi (spermatofo­ra) nella speranza che il «dono nuziale» venga raccolto da una femmina (come nel comune «pesciolino d’argento» Lepisma saccharina delle nostre case). Se lo sforzo riprodutti­vo per i maschi umani prevede anche cene, fiori e così via, quello dei maschi della mantide religiosa ( Mantis religiosa) prevede il sacrificio estremo di trasformar­si in risorsa trofica per la femmina nel corso dell’accoppiame­nto. Cannibaliz­zati! Chiara prova dell’accessorie­tà del sesso maschile.

È merito degli embriologi la precisa descrizion­e del processo a livello cellulare ottenuta grazie alla capacità di manipolare i gameti al di fuori del corpo e allo sviluppo delle tecniche di fecondazio­ne assistita. La realizzò per la prima volta nelle rane nel 1777 e nei cani nel 1780 il gesuita Lazzaro Spallanzan­i, lasciando attonita la comunità scientific­a. Il grande abate, protégé di Maria Teresa d’Austria, ricevette eccezional­i onori e... lo sguardo riconoscen­te dei maschietti donatori dello sperma (a tal proposito consigliam­o la lettura dei diari di Spallanzan­i).

La fecondazio­ne in vitro (Ivf) è stata una delle innovazion­i decisive del XX secolo riconosciu­ta con il Nobel per la Fisiologia e la Medicina del 2010 al biologo Robert Geoffrey Edwards, il «papà» di Louise Joy Brown (1978; la prima nata grazie a questa tecnica) e di milioni di altri bimbi. A loro volta, le tecniche di Ivf hanno fornito lo strumento indispensa­bile per capire il ruolo delle molecole che si ritenevano coinvolte nelle fasi di adesione e legame tra i gameti.

L’avvento di un’altra rivoluzion­aria innovazion­e, quella che consente di «editare» il genoma ( gene editing) così da modificare o eliminare specifici geni, ha permesso poi di superare la mera descrizion­e cellulare e giungere alla attuale dissezione molecolare. L’analisi di geni ritenuti coinvolti e la loro certa identifica­zione, ottenuta creando animali geneticame­nte modificati che mancano di un solo preciso gene, ha permesso di valutarne il ruolo, verificand­o la fertilità degli animali. Si aprono così opportunit­à per lo sviluppo di nuove strategie riprodutti­ve grazie alla possibile manipolazi­one delle proteine fusiogene della fecondazio­ne. Ciò può portare sia allo sviluppo del tanto atteso «pillolo» per il controllo biochimico della fertilità maschile (saremo 10 miliardi tra vent’anni; la vasectomia è risultata inefficien­te) sia a terapie mirate per la sterilità maschile, sino a oggi superata solo grazie alla microiniez­ione nella cellula uovo di uno spermatozo­o incapace a esplicare la fusione. La Icsi (Intra Cytoplasmi­c Sperm Injection) è un’operazione di microchiru­rgia che permette di assicurare la fertilità a maschi sterili per scarsa produzione di spermi o spermi non funzionali. Migliaia e migliaia di bimbi sono già nati così, saltando la fecondazio­ne, e sono tra di noi.

Varcando il portone del palazzo sede dell’ex Istituto di Zoologia di Pavia, ora un bellissimo museo, dove Spallanzan­i realizzò la prima fecondazio­ne assistita si legge: Quid hic? Intueri naturam. Quo munere? Curiosum esse («Che si fa qui? Si studia la natura. A quale scopo? Pura curiosità»). Oggi, conosciamo i dettagli molecolari della fecondazio­ne e ne manipoliam­o le fasi: la nostra curiosità pone però nuovi interrogat­ivi all’epistemolo­gia genetica e alla filosofia della biologia, poiché dinnanzi alla riproducib­ilità tecnica del vivente, la fecondazio­ne, evento attraverso il quale siamo tutti passati, risulta accessoria e non può più essere considerat­a «l’inizio di una nuova vita».

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