Corriere della Sera - La Lettura
Il videogioco americano promosso dalla spia del Kgb
«Una spia deve essere un attore, ma un attore senza palco né pubblico, un attore che non abbia la necessità dell’approvazione altrui». Elena Vavilova è stata una delle migliori attrici «senza palco né pubblico» degli ultimi anni. Più di venti, in vari Paesi, in cui ha recitato la parte di Tracey Ann Foley, identità rubata per lei dal Kgb a una bambina canadese morta nel 1962. Anni da spia che hanno ispirato la serie The Americans. Adesso Call of Duty, il più celebre «sparatutto» della storia dei videogame, torna con un nuovo capitolo: Black Ops Cold War. Al centro, le operazioni sotto copertura durante la guerra fredda. L’editore Activision ha coinvolto proprio Elena Vavilova nel lancio internazionale del videogame. «Giocandoci — conferma l’ex spia a “la Lettura” — rivedo me stessa».
Con suo marito, Donald Heathfield, al secolo Andrey Olegovich Bezrukov, Vavilova ha condiviso gli studi all’università statale di Tomsk, dove si sono conosciuti, in Siberia, l’addestramento nell’intelligence sovietica, la vita fittizia negli Stati Uniti, dal 1999, dove lei per tutti era appunto Tracey, un’agente immobiliare cresciuta fra il Canada e la Francia (spiegazione dell’indecifrabile accento). In realtà non è passato giorno senza che la coppia abbia mancato di inviare a Mosca messaggi in codice su ogni informazione sensibile o segreto scoperto. Ed è ve r o s i mi l e n e a b b i a n o s c o p e r t i mol t i , v i s to c h e Bezrukov è stato membro del think tank World Future Society e intimo di Leon Fuerth, ex consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Al Gore.
Quando il 27 giugno 2010 i coniugi sono stati arrestati dall’Fbi nella loro casa a Cambridge, Massachusetts, nemmeno i due figli, Alex e Timothy, allora 16 e 20 anni, ne conoscevano la vera identità. Nessuno, in casa, aveva mai sentito una parola in russo. «Eravamo tenuti a mantenere segreto chi fossimo con chiunque, inclusi i nostri bambini», spiega Vavilova, che dopo l’arresto è stata protagonista con il marito di uno dei più importanti scambi di prigionieri fra Russia e Usa, lo stesso che ha coinvolto anche Anna Chapman e Sergej Skripal’, avvelenato in Gran Bretagna nel marzo 2018. «Per salvaguardare la nostra incolumità, una delle regole imponeva di non parlare il russo nemmeno in famiglia. Questo per evitare sospetti e per facilitarci l’estraniamento dalla nostra vera identità. Era fondamentale che fossimo immersi completamente nella nuova vita».
Una vita riversata nelle pagine di Una donna che sa tenere i segreti (in russo, Eksmo, 2019), autobiografia inedita in Italia e, appunto, nelle puntate di The Americans, la serie di Joe Weisberg dedicata agli illegals, gli «agenti illegali di un governo straniero», come recitava il mandato di arresto presentato dall’Fbi quella sera di giugno.
E una vita che oggi sembra evocata in pixel dentro Call of Duty: Black Ops Cold War. Muovendosi dalla guerra in Vietnam e dalla crisi degli ostaggi in Iran del 1979, il blockbuster di Activision racconta una caccia all’uomo protratta per anni: quella a Perseus, spia del Kgb dall’esistenza ufficialmente negata dagli Stati Uniti, ma al quale si imputerebbe l’infiltrazione nel Los Alamos National Laboratory, dove venne sviluppata la bomba atomica. Una vicenda in cui è impossibile distinguere realtà e finzione, come nella vita di Vavilova. «Le mie missioni — spiega — si svolsero proprio nel pieno della guerra fredda».
Dopo il ritorno a Mosca, dove ancora oggi vivono, Vavilova e Bezrukov sono stati insigniti dell’Ordine al merito per la patria, una delle massime onorificenze per chi abbia reso servizi eccezionali alla nazione. Sorprende oggi che l’ex spia partecipi all’operazione Call of Duty e si senta rappresentata da un videogame tradizionalmente filoamericano, in cui qualsiasi non statunitense è relegato al ruolo di villain, talvolta anche in modo stereotipato. Complice una contestualizzazione drammatica fedele alla polarizzazione manichea dei tempi che racconta, in Black Ops Cold War, i nemici — i russi — sono bersagli spietati ma anonimi, senza alcuna motivazione psicologica condivisibile, figurarsi un’ideologia. Eppure, segno di una sopraggiunta maturità del gaming, alla fine nulla è come sembra, nemmeno nello sparatutto che ha contribuito a definire il genere e che, dal primo episodio del 2003, si stima abbia fatturato una ventina di miliardi di dollari. Con un colpo di teatro senza precedenti nella serie, è il giocatore a decidersi burattino o burattinaio e a doversi immedesimare o meno in una ex illegal (o eroe) del Kbg. «Che il nemico sbagli è uno stereotipo diffuso, un preconcetto di successo, bisogna ammetterlo. È certo che se un gioco o un film venissero sviluppati da un team russo sarebbero diversi. Credo però che lo scopo di Call of Duty sia immergere i giocatori nel contesto, anche emotivo, della guerra fredda. Soprattutto nella solitudine di un’attività come quella che ha visto me e mio marito impegnati per anni: una spia non ha alcuna informazione sui suoi colleghi, come capita al protagonista di Black Ops Cold War ».
Il gioco è quasi un manifesto metanarrativo. «Le spie sono come il giocatore: agiscono in maniera autonoma, senza conoscersi e, il più delle volte, senza nemmeno sapere cosa succeda nelle agenzie per cui lavorano. Questa è la caratteristica principale di questa professione: si è soli, per quanto consapevoli di essere il tassello di un puzzle che a missione compiuta, ricomposto, fornisce un’immagine chiara di ciò che si è fatto».
Irresistibile la tentazione di chiederle dei suoi, di puzzle, di quali immagini chiare abbia contribuito a creare. «Ho fornito per anni informazioni su personaggi cruciali della politica internazionale, ma rivelare altro andrebbe contro ogni regolamento. Conservo segreti che rimarranno tali fino al mio ultimo giorno. Circa la loro importanza, be’, le medaglie e i riconoscimenti ricevuti dal nostro governo sono un buon suggerimento».
Forse anche in questo senso, per la ferma convinzione della bontà di quanto fatto, Vavilova aderisce a un giocatore di Call of Duty arrivato trionfalmente a fine partita. Così come al personaggio a lei ispirato in The Americans. «Anche i nostri due figli hanno dovuto fare i conti con il passato. Credo lo abbiano capito, ora sono sereni e senza più segreti, sebbene non vogliano associare il loro nome al nostro lavoro. È comprensibile: nascere in una famiglia così non è stata una loro decisione».
I figli di Vavilova oggi vivono entrambi fuori dagli Stati Uniti.