Corriere della Sera - La Lettura
Nuovi sovrani, regni di sabbia
Hatham Bin Tariq in Oman e Nawaf Al-Ahmad Al-Jaber Al-Sabah in Kuwait sono i sovrani saliti al trono più recentemente. E lo hanno fatto in un contesto, il Medio Oriente, che attraversa un periodo di particolare inquietudine. Persino nei momenti più caldi delle guerre del Golfo e delle tensioni seguite alle «primavere arabe» il sultanato dell’Oman è stato forse l’unico tra i Paesi dell’area a mantenere quasi intatti il flusso di turisti occidentali e la costante crescita dell’economia nazionale. Ma proprio la sua forza può costituire un punto di debolezza e attirare gli appetiti dei litigiosi vicini, oltreché dei jihadisti. Il neo-sultano Hatham Bin Tariq sa che probabilmente l’unico modo per mantenere stabilità, prosperità e crescita è seguire le orme del predecessore, il cugino Qabus bin al Said, deceduto lo scorso gennaio dopo mezzo secolo di regno. Fu lui, dagli anni Settanta, a volere legami forti con le democrazie occidentali e parallelamente lavorò per mantenere una saggia equidistanza tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita. Aiuta l’antica vocazione nazionale dell’ibadismo, ramo minoritario dell’islam che cerca di coesistere pacificamente con ogni interpretazione del Corano e le altre fedi. I diplomatici dell’Oman sono benvenuti allo stesso modo a Riad come a Teheran. Ma la regione resta bollente. L’Oman si affaccia sullo stretto di Hormuz, che controlla l’accesso al Golfo Persico e alle grandi rotte petrolifere. La guerra dello Yemen è lì alle porte: l’armonia ibadita si dimostra dunque più che mai necessaria.
L’età dell’oro per l’emirato del Kuwait cessò traumaticamente il 2 agosto 1990 con i tank di Saddam Hussein che sfondavano i centri commerciali e occupavano gli accessi ai terminali petroliferi. In poche ore uno dei Paesi con il reddito pro capite più alto al mondo scoprì la sua fragilità. Quasi mezzo secolo di sviluppo continuo fondato sullo sfruttamento di gas e petrolio (possiede il 10% delle riserve mondiali) parve destinato a finire nelle mani del potente vicino. Fu poi la coalizione militare organizzata dagli Usa a cacciare gli invasori. Ma da allora il Kuwait avverte con urgenza la propria irrimediabile precarietà. E cerca di riconvertire la propria economia per dipendere sempre meno dal petrolio.