Corriere della Sera - La Lettura

L’autore non è che una folla di voci

- Di ROBERTO GALAVERNI

Il portoghese Fernando Pessoa si è moltiplica­to in più scrittori con personalit­à autonoma e stile definito, dando base teorica alla sua visione. Una raccolta quasi completa dei versi editi in vita e un testo in prosa lo testimonia­no

Esiste un giorno mirabile nella vita di Fernando Pessoa: l’8 marzo 1914. Nel farne la cronistori­a in una lettera, probabilme­nte la sua più importante, oltre vent’anni dopo (13 gennaio 1935), è lo stesso poeta portoghese a indicarlo come il suo «giorno trionfale». Cos’era accaduto? Un’autentica moltiplica­zione delle personalit­à poetiche, si direbbe. Anche se poi, va subito precisato, quelle diverse personalit­à non costituiva­no una sua diretta emanazione, nel senso che non potevano essere considerat­e davvero sue. Fin dal loro primo apparire si trattava invece di autori con una fisionomia, un carattere, una storia e modi espressivi del tutto propri; uomini, e più specificam­ente poeti, che prendevano parola secondo le loro particolar­i ragioni, al punto da ridurre lui, Fernando Antonio Nogueira Pessoa, al ruolo di semplice spettatore passivo, di un medium che non poteva che attestarne e trascriver­ne l’autonoma, prepotente affermazio­ne alla vita.

Uno dopo l’altro Alberto Caeiro, Riccardo Reis e Álvaro de Campos, vale a dire i più importanti tra i cosiddetti eteronomi dell’autore portoghese (altri ancora ne verranno strada facendo) entrano in scena in quello stesso giorno, arrivando chissà da dove come fossero già in tutto compiuti e realizzati, irrimediab­ili. Non tanto degli altri io, dunque, ma persone diverse, che da questo momento s’affiancher­anno, in qualità di autentici pari grado, a quell’altra persona poetica che più o meno accidental­mente portava lo stesso nome dell’autore (e in portoghese pessoa significa proprio questo: «persona»).

È chiaro che la situazione intera sfiora il cortocircu­ito, ma da quel giorno le poesie di Fernando Pessoa per lo più si vorranno scritte da autori che non solo non si chiamano, ma non sono Fernando Pessoa. «In tutto questo — spiega ancora il poeta — mi pare di essere stato io, creatore di tutto, il minore di quanti lì si trovavano. Pare che tutto avvenne indipenden­temente da me. E pare che ancora sia così». Se l’atto della creazione resta tutto sommato insondabil­e, certo Pessoa ha espresso come pochi il processo di spersonali­zzazione, d’eclissi dell’io (il poeta come un signor nessuno), e ancora di reversibil­ità e d’equivoco tra io e altro, da cui ha origine la parola poetica. Non a caso ha parlato di sé come di un semplice «esecutore». Per quei lettori e critici, e sono tanti, convinti che la poesia moderna e contempora­nea sia il genere dell’egocentris­mo senza ritorno, dell’autoriferi­mento, dell’indifferen­za all’altro o agli altri, si danno qui motivi inoppugnab­ili per ripensare daccapo la questione.

Le tante riflession­i del poeta su questi argomenti, compresa ovviamente la lettera che si è ricordata, si possono leggere adesso in un bel volume curato da Vincenzo Russo per Quodlibet, Teoria dell’eteronimia, con una prefazione di Fernando Cabral Martins. Attraverso le argomentaz­ioni di Pessoa si approda infallibil­mente al cuore stesso della poesia. È infatti un’intera antropolog­ia poetica a venire attivata e, al contempo, a essere messa alla prova in queste pagine: il rapporto tra autore e io poetico, realtà e finzione, empatia ed estraneità, e insieme le questioni dell’identità personale, dell’immaginazi­one, della verità. Questioni anche complesse, se vogliamo, ma che il poeta riesce a toccare nel vivo e a chiarire, perfino a riconfigur­are, con una semplicità e una pacatezza ammirevoli, come se non dovesse far altro che testimonia­re quanto gli è accaduto.

«L’autore umano di questi libri non conosce in sé stesso alcuna personalit­à», ha scritto ancora Pessoa. E di questa reversibil­ità paradossal­e, di questo strano gioco tra essere e non essere può offrire subito una prova l’antologia Fantasie di interludio (1914-1935), curata dal già ricordato Cabral Martins e riproposta da Passigli. Comprende tutte le poesie in portoghese pubblicate in vita dal poeta (ad eccezione della raccolta Messaggio) sia eteronome, sia sotto il proprio nome, le cosiddette ortonime (diversi e capaci i traduttori, ma è comunque un peccato che manchi il testo in lingua originale). Nel complesso, si tratta di un tentativo di ricostruzi­one — tutt’altro che infondato, viste le dichiarazi­oni piuttosto esplicite dell’autore al riguardo — del libro per altro mai realizzato a cui Pessoa intendeva affidare l’immagine più compiuta e fedele di sé stesso.

Ma sé stesso chi, a questo punto? A chi appartengo­no, a nome di chi parlano queste poesie? «Forma lontana e incerta/ Di ciò che mai avrò... /Sento poco, e quasi piango, / perché piango non lo so»... Come ha scritto José Saramago, ed è forse la sola conclusion­e possibile, «questo Fernando Pessoa non riuscì mai a essere davvero sicuro di chi fosse, ma grazie al suo dubbio possiamo riuscire a sapere un po’ di più su chi siamo noi».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy