Corriere della Sera - La Lettura
Ode all’analista, nonostante il divieto
Torna il volume di Vivian Lamarque del 1986: sembrano filastrocche, non lo sono
Scrive Vivian Lamarque: « Il signore d’oro nacque da un divieto». Si dica intanto che il libro uscito da Crocetti nel 1986, e ora ristampato, era un disperato messaggio d’amore della poetessa al proprio analista junghiano, il dottor B. M. Nella nota introduttiva alla nuova edizione (Vivian Lamarque, Il signore d’oro, riproposto sempre da Crocetti) la poetessa specifica poi quel divieto e quella genesi: «Tra la seduta del martedì e quella del venerdì e viceversa, scrivevo al mio Dottore km e km di lettere. Dopo un periodo di sua illimitata accoglienza, un giorno, semisommerso, mi chiese di non superare le quattro pagine (otto a settimana). [...] Le parole rimaste chiuse fuori assunsero forma di brevi prose poetiche, finirono in una cartellina, fogli su fogli che intitolai il signore d’oro, il signore gentile, il signore mai, il signore intoccabile, il signore loden, il signore usignolo, il signore neve, il signore rapito ecc. ecc.».
Dunque un dialogo che non può svolgersi devia dal corso della realtà, della comunicazione effettiva, e prende la strada dell’invenzione poetica. In essa tutto è all’insegna del linguaggio fanciullesco e dell’ossessione. Infantili domande a punteggiare il discorso. Ripetizioni fiabesche, strutture elementari e imitazione del gergo dei bambini. stalgia grande? Era la Nostalgia più grande di tutta la vita».
Si tratta dunque di una febbrile regressione, verso uno stato di inermità e bisogno. L’amore è vissuto come sproporzione e sogno a occhi aperti. Per esistere, questo Amore vividissimo e insieme bambino (l’amore da cui dipende se si possa vivere o no) deve abolire le cose come sono («Bastava confondere un poco sogno e realtà, cancellare con una bianca gomma l’inutile linea di confine»). Ma la realtà risorge, da dentro l’immaginazione di unione e di concordia, con le sue spine, i suoi divieti, quelli che il discorso poetico avrebbe