Corriere della Sera - La Lettura
Romanzo giallo? No, romanza gialla
Affascinante ma discreto, sempre ben vestito, aristocratico — tutti lo chiamano «il contino» — con una madre che per il gioco ha dilapidato tutto il patrimonio familiare: ritorna Manrico Spinori, a pochi mesi di distanza dal romanzo Io sono il castigo, che segnava il debutto del primo personaggio seriale di Giancarlo De Cataldo. Come già fanno tanti autori di noir, da Andrea Camilleri in poi, che un romanzo dopo l’altro raccontano i nuovi casi dei loro ispettori, Bordelli di Marco Vichi, Ricciardi di Maurizio de Giovanni, De Luca di Carlo Lucarelli, i vecchietti del Bar Lume di Marco Malvaldi. Per non somigliare ai colleghi, Spinori ha una passione speciale, l’opera lirica, convinto oltretutto del fatto che nel vasto repertorio del melodramma italiano si possa trovare anche la soluzione dei delitti di cui si occupa.
Pigro e solitario nella vita privata, una ex moglie che vive a Washington e un figlio, Alex, che studia musica, Manrico Spinori sa che il suo fascino non lascia indifferenti le belle signore che incontra. E lascia loro il compito di chiedere una cena, un film, una notte insieme. Continua intanto la sua relazione con Maria Giulia, incontrata a teatro nel primo romanzo.
Ascolta, anche in questo libro, molta musica. Non necessariamente d’opera, salvo Le Bassaridi di Hans Werner Henze e un accenno veloce a Il tabarro pucciniano dove c’è, è vero, una morte per acqua, ma è quella di un porto fluviale. Ci sono Franz Schubert e Kurt Weill, ma ecco di nuovo le opere: Manon Lescaut e Tosca di Puccini, Tristan und Isolde di Wagner, La gazza ladra e la Semiramide di Rossini, il Don Giovanni di Mozart, il Don Pasquale e L’elisir d’amore di Donizetti. E infine Verdi due volte: I vespri siciliani nella prima edizione in francese del 1855 e Un ballo in maschera.
Sempre distaccato, mai troppo impegnato nelle questioni, diciamo così, di cuore, nel lavoro è instancabile. Può contare sull’aiuto di una squadra tutta al femminile cui si è aggiunta la nuova Deborah Cianchetti, tatuata e un po’ trucida, ma dotata di un grande intuito investigativo. Aristocratico com’è, Spinori prova un po’ di fastidio a trattare con la famiglia Proietti, generone romano, palazzinari che denunziano la scomparsa del padre Ademaro, durante un’escursione a Ponza e ritorno sul suo superyacht: dev’essere, dicono, caduto in acqua, dopo aver bevuto molto mentre i figli, tre, più il genero Brian marito della figlia Sofia, dormivano. Quando il mare restituisce il corpo di Proietti nel porto di Ostia, si nota il segno di un forte colpo sulla nuca. La famiglia