Corriere della Sera - La Lettura
La fantasia che fa esistere la realtà
non è solo un autore capitale dell’Ottocento: i suoi «Fratelli di Serapione», che ora escono curati da Matteo Galli nelle versioni di 26 traduttori, vanno considerati le «Mille e una notte» o il «Decameron» del Romanticismo
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Con tutte le lunghe e inquiete notti dell’inverno imminente che ci stanno di fronte, non è ozioso domandarsi se esistano delle letture, o meglio dei libri propizi, capaci di rinnovare un miracolo psicologico tipico dell’infanzia: quella felicità paradossale che consiste nello starsene sicuri e al caldo, e nello stesso tempo andare così lontani, sulle ali dell’immaginazione, da perdere la nozione dello spazio e del tempo. Ebbene, non credo che esista uno scrittore più invernale di E.T.A. Hoffmann.
Le favole e i racconti fantastici di questo genio romantico, ancora prima che si delinei il loro bizzarro contenuto, fanno venire in mente un focolare scoppiettante, e le sue frasi guizzano e crepitano come fiamme, fumando e scintillando nel loro indiavolato accavallarsi. Conosco solo i Racconti di Natale di Dickens in grado di rivaleggiare con il maestro berlinese: ma in Dickens la materia umana è più greve e complessa, mentre i personaggi di Hoffmann sono dotati della meravigliosa leggerezza delle marionette, e balzano agilmente dal comico al tragico, dal sentimentale al filosofico, dal sordido al noci e il re dei topi e Il bambino misterioso (l’«antenato» di Pippi Calzelunghe). Ma anche se è sempre stato più che legittimo leggere e ristampare i singoli capolavori di Hoffmann, vale la pena abbandonarsi ai Fratelli di Serapione nella sua totalità, leggendolo come una grande enciclopedia del fantastico, del folle, del perturbante. Che è anche un trattato di estetica dove la parola poetica collabora con la musica e la pittura alla costruzione di uno sconfinato regno mentale. C’è un sentiero incantato che percorre l’arte europea, che va dalle favole teatrali di Carlo Gozzi e dal Flauto magico di Mozart fino a grandi scrittori del pieno Novecento come Bruno Schulz e Bulgakov, ma l’apporto di Hoffmann a questa che potremmo definire la «letteratura dei maghi» è decisivo e irreversibile.
Eppure Hoffmann non tiene affatto ad apparire come l’inventore di qualcosa in particolare: è un lettore onnivoro tanto quanto uno scrittore fluviale, e denuncia sempre volentieri i suoi debiti e i suoi modelli. In questo il suo genio assomiglia molto a quello di Ariosto: entrambi si presentano come eredi, depositari di codici narrativi e tradizioni secolari, mentre imprimono un soffio di vita imprevedibile, e un significato umano profondissimo, a un ciarpame di convenzioni quasi tutte ammuffite e meccaniche.
In Hoffmann la libertà assoluta dell’invenzione si accompagna, com’è tipico dell’anima romantica, a una consapevolezza critica di straordinaria vitalità, e nei Fratelli di Serapione si realizza una perfetta convivenza dello slancio poetico e del pensiero, perché tutti i racconti sono incastonati nelle conversazioni di un gruppo di amici che si scambiano pareri e impressioni sui frutti del loro ingegno che condividono in spirito di amicizia e sincerità.
Il loro sodalizio è intitolato a san Serapione perché la data della prima riunione è il 14 novembre, giorno del calendario liturgico dedicato all’eremita cristiano dei primi secoli. Ma Serapione è anche un pazzo, protagonista del primo dei racconti della raccolta, che crede di vivere la vita del suo illustre predecessore, e mette sotto scacco chiunque cerchi di guarirlo con l’inappuntabile logica della sua follia. Fino a un certo punto, il pazzo e l’artista sembrano percorrere esattamente la stessa strada. Per entrambi, il mondo esterno è sottoposto in maniera violenta al vincolo deformante della percezione soggettiva. Ma Hoffmann non ha dubbi, a un certo punto le loro strade si divaricano, perché l’artista, a differenza del pazzo, non può essere prigioniero di sé stesso. Per rendere visibile e comunicabile il mondo interiore e la potenza delle sue visioni, ha bisogno di un punto di equilibrio diverso, più incerto e difficile da raggiungere. Deve, insomma, tenere sempre un piede ancorato nella realtà, perché è questa «l’unica leva capace di mettere in moto quella forza» che risiede nello splendore dell’immaginazione.
La fantasia dunque non è l’avversaria ma il completamento, la versione più perfezionata di ciò che solo in apparenza è il suo contrario, il principio di realtà. Infatti, ricorda Hoffmann, «le visioni interiori si dischiudono nello spazio formato dai fenomeni esteriori che ci circondano».
Non esistono strade semplici: è solo nel nostro mondo, con tutti i suoi aspetti di greve prosaicità e filisteismo, così insopportabili per lo stesso Hoffmann, che possiamo incontrare e riconoscere il minuscolo varco, la sottilissima melodia dell’altro mondo.