Corriere della Sera - La Lettura

Povero calcio, senza le notizie

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e l’avvento di (grande normalizza­tore) hanno cambiato tutto. In peggio

do una media di 30 mila spettatori per otto-nove partite, si arrivava ad appena 240-270 mila spettatori eventuali, quasi sempre gli stessi, meno dello 0,3 per cento del totale nazionale. Cioè nessuno. Quindi nessuno conosceva il calcio. Anche quelli che andavano allo stadio potevano vedere una sola squadra, la loro, due volte al mese. Il resto delle squadre si vedevano quando capitavano da noi in trasferta.

Questo aumentava l’epica, non la conoscenza. Ricordo i mormorii, i silenzi ammirati quando Mazzola o Rivera, ma anche Gullit o Matthaeus, toccavano la palla. Erano guardati come fossero Einstein o Picasso, uno spicchio di infinito che diventava reale. Era la fine del sentito dire, esistevano davvero. E noi con loro, un po’ di più. Ma la competenza no, quella non c’era, non poteva esserci. Era al massimo di quei sei-sette giornalist­i di due-tre testate del Nord che avevano il privilegio di seguire ogni domenica le partite più importanti. Vedevano la parte migliore del calcio, ma restava una piccola parte. Il Bar Sport, le discussion­i sotto gli archi delle città, erano lunghe e memorabili perché tutti parlavano di qualcosa che non avevano visto, quindi tutti avevano ragione in partenza. I 60 milioni di commissari tecnici italiani nascono così.

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