Corriere della Sera - La Lettura
Così ho raccontato la crisi della borghesia
Compie novant’anni Citto Maselli, il regista che ha raccolto l’eredità del neorealismo e si è affermato con un cinema politico. Il 9 dicembre sarà una giornata di festa. A «la Lettura» consegna i suoi ricordi e una speciale top ten
«Il mio film che amo di più? Gl i i ndif fe r e nt i e St or i a d ’ a mor e : li considero i miei lavori più importanti, per la forza espressiva, di immagini, e per il racconto, teso e profondo». Il 9 dicembre Citto Maselli, regista che ha raccolto l’eredità del neorealismo, si è affermato con il cinema politico e ha attraversando il Novecento raccontando la borghesia, compie novant’anni. Intellettuale fieramente comunista, Maselli ha praticato l’impegno non solo sullo schermo ma anche con l’Anac, la storica associazione degli autori, nella difesa del c i nema di qual i t à , per l a l i ber t à d’espressione, contro le leggi imposte dal mercato.
La voce è bassa, dolce, mentre parla al telefono con «la Lettura» di cinema e letteratura, lui che nel mondo dei libri è cresciuto fin da bambino quando, a Roma, nella casa del padre Enrico, critico letterario del «Messaggero», incontrava gli intellettuali italiani degli anni Trenta, da Corrado Alvaro a Massimo Bontempelli, da Alberto Savinio a Emilio Cecchi. Dopo un’immersione, da ragazzo, nei grandi russi Tolstoj e Dostoevskij, l’incontro fatale, come lettore, è con Thomas Mann. « I Buddenbrook è nella mia vita un punto decisivo. La severità tutta nordica dell’impianto storico, quel grande modernissimo personaggio che è Thomas Buddenbrook, il figlio Hanno che muore ancora ragazzo per una malattia che è una scelta: sono diventati dei punti di riferimento, così come lo sguardo caritatevole e pensoso dello scrittore». Nel suo Pantheon c’è un autore italiano che lo traghetta verso gli americani: «Mario Soldati con America primo amore rivela un’intelligenza e un animo bellissimi, non mi viene un altro modo di definirli. In quel periodo della mia vita, se non ricordo male, leggo Faulkner, che mi apre un mondo. C’è Fernanda Pivano che ci regala L’antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, e poi Steinbeck con Uomini e topi. In Italia Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini e soprattutto Emilio Cecchi: un grande che ha segnato, con i suoi elzeviri e la sua prosa d’arte, la vita italiana». Ma c’è anche un altro testo fondamentale per lui e per molti della sua generazione: « Il manifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Durante il fascismo non veniva pubblicato ma si trovava come appendice in fondo a un libro di Labriola edito da Laterza».
La pellicola del 1964 tratta dal romanzo di Moravia resta una pietra miliare nella storia del cinema. Da qualche giorno è uscito il nuovo film di Leonardo Guerra Seràgnoli con Edoardo Pesce nei panni di Leo, Valeria Bruni Tedeschi (Mariagrazia), Beatrice Grannò (Carla), Vincenzo Crea (Michele), Giovanna Mezzogiorno (Lisa). Per i suoi Indifferenti Maselli scelse attori internazionali come Rod Steiger, Shelley Winters, Paulette Goddard, oltre a Thomas Milian e a una giovane Claudia Cardinale. «La critica alla borghesia, che ho approfondito nei miei lavori, è valida oggi come allora, in modo identico — commenta Maselli —. Malgrado Gli indifferenti si svolga nel 1929, in pieno fascismo, io il fascismo l’ho fatto entrare molto poco nella storia». Tre sono le pellicole che Maselli ha dedicato alla crisi della borghesia: Gli sbandati, I delfini e Gli indifferenti. «Insieme costituiscono una forma di indagine, il tentativo di dare alle vicende raccontate in senso più profondo, epocale, di una classe sociale in decadenza, con comportamenti ridotti a pura forma e ipocrisia».
Tr a s fe r i re un romanzo s ul gr a nde schermo non è facile, Maselli ha una sua personale top ten che stila per «la Lettura» e che comprende opere diverse per ambientazione e temi, la maggior parte legate da un’attenzione sociale alle classi lavoratrici. «Una delle cose più interessanti è nel cinema francese degli anni Trenta che prese Jean Gabin e lo trasformò in un eroe proletario, un antieroe che non aveva niente di retorico o di simbolico, di straordinario», spiega. Di alcuni tra i suoi titoli preferiti la versione cinematografica ha offuscato l’opera letteraria, come Fronte del porto che Elia Kazan trasse dal romanzo dello scrittore americano Budd Schulberg e che esaltò il talento di Marlon Brando. Ci sono le Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini portate sullo schermo da Carlo Lizzani, c’è Furore, il film che John Ford trasse nel 1940 dal capolavoro di John Steinbeck, ma c’è anche Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, il romanzo sulle ambiguità e le illusioni del sogno americano nella versione cinematografica con Robert Redford e Mia Farrow. «E molti altri, ma questi sono stati importanti per la mia formazione artistica e intellettuale: non solo sono magnifici film ma molti di loro, come disse Moravia per Gli indifferenti, costituiscono nuovi testi e non sono semplici trasposizioni in un altro linguaggio espressivo», spiega. «Negli anni Quaranta e Cinquanta il cinema fu uno strumento essenziale di conoscenza e crescita culturale».
Al primo posto c’è comunque La terra trema di Luchino Visconti, ispirato ai Malavoglia di Giovanni Verga, parte di quel ciclo dei Vinti con cui lo scrittore siciliano affrontò il tema del progresso visto dal punto di vista degli sconfitti della società, in questo caso una famiglia di pescatori di Acitrezza. «È fondamentale sia per l’innovativo e straordinario linguaggio cinematografico impostato tutto sui piano-sequenza, sia per la forza figurativa ed evocativa di ogni immagine, sia per la profondità del discorso e del significato sociale e politico che segnò, come qualcuno allora scrisse, il passaggio dal Neorealismo al Realismo — aggiunge Maselli —. Lo stesso Visconti divenne, con Elio Vittorini e Fabrizio Onofri, uno dei protagonisti del dibattito culturale che il Partito comunista di Togliatti portò avanti nel secondo dopoguerra».
Genio indiscusso, Visconti tra i tanti meriti ha, secondo Maselli, anche quello di avere reinventato il teatro italiano «con A porte chiuse di Jean-Paul Sartre, I parenti terribili di Jean Cocteau e Adamo di Marcel Achard, con attori come Andreina Pagnani e Laura Adami letteralmente trasformati e liberati da ogni residuo di quell’enfasi declamatoria che aveva caratterizzato il nostro teatro prima del suo avvento».
Visconti era anche molto altro, ricorda il regista: «C’erano le dichiarazioni che rilasciava su molti temi, l’alone di leggenda che circondava il suo personaggio, la sua vita e la sua grande casa sulla Salaria. Per me è stato anche un grande amico».