Corriere della Sera - La Lettura
La «classe» è viva 30 anni senza Kantor
dove la finzione è bandita: un teatro come reale macchina delle emozioni.
L’opera di Kantor è un continuo attraversamento dei confini...
Kantor ha iniziato a fare teatro già da studente dell’Accademia di Belle Arti a Cracovia e già in quegli anni ha contaminato arte e teatro, dando origine così al suo concetto di «Teatro della Morte». I suoi attori avevano un unico modo per non fingere e imitare la realtà: immaginarsi «morti» in scena. La classe morta rimane tuttora il suo spettacolo cardine — ma Kantor lo definiva séance dramatique. Prese forma non in un teatro, ma in quella «Galleria Krzysztofory », una cantina che era luogo di incontro di pittori e artisti di Cracovia.
In una lunga intervista a Kantor che Franco Quadri fece a
Venezia, il regista dice: non capisco come «persone serie, con professioni serie, che mandano avanti il mondo — ingegneri, avvocati, giudici —, la sera vanno in un posto dove degli attori si travestono da Amleto, da Enrico IV. E credono alla finzione». Questo aspetto di «contestazione» del teatro è stato in Kantor molto vivo. L’impasto da cui è nata la possibilità del teatro di uscire da sé stesso con il conseguente senso di pericolo. Nella Classe morta, l’entrata in scena dei personaggi, con i manichini attaccati al corpo, è un’esperienza di un’intensità difficile da replicare».
C’è un ricordo di Kantor che volete condividere?
L’ultimo ricordo che ho di Tadeusz è a Parigi, stava per cominciare le prove di Aujourd’hui c’est mon anniversaire («Oggi è il mio compleanno»), l’ultimo spettacolo. Aveva solo alcuni oggetti, dei materiali. Seduti in un bar, vicino alla Sorbona, mi raccontava la messinscena a suo modo, mi faceva ascoltare dei pezzi musicali. A un certo punto, passava qualcuno per strada, una figura bizzarra magari. Allora diceva: questo sarebbe perfetto per un cricotage, le sue brevi azioni teatrali. Aveva bisogno di ritrovare nella realtà i «modelli» che aveva nel suo mondo. I suoi attori erano le reincarnazioni di quel suo mondo.
In quella «compagnia di folli» che era il Teatro Cricot 2, il cui nome è l’anagramma dell’espressione polacca to cirk («ecco il circo»), all’incirca 15 persone, c’erano solo due attori professionisti. Gli altri erano poeti, pittori, suo zio, sua moglie; due gemelli che face