Corriere della Sera - La Lettura
Stragi di armeni? Se le sono cercate
Con l’avvento di Erdogan, una ventata di islamizzazione s’è aggiunta al nazionalismo
La narrazione storica nei libri di testo della Turchia è sempre stata improntata, fin dagli anni Trenta, da un racconto nazionalista. A questo si è aggiunta, da quando l’Akp (Partito di giustizia e sviluppo) è andato al potere nel 2002, una lenta islamizzazione del curriculum di studi che, dopo il fallimento del presunto colpo di Stato militare del 2016, si è accelerata e approfondita. Una continuità storicista ha unito lo sviluppo dei popoli turchi in Asia centrale con lo Stato repubblicano di Kemal Atatürk e con l’attuale nazione islamica di Erdogan, ponendo l’Anatolia come patria dei turchi fin dall’ingresso dei sunniti selgiuchidi nel 1071 (battaglia di Malazgirt/ Manzicerta). Una visione della comunità sunnita coesa e immutabile ha valorizzato la tolleranza del periodo selgiuchide e dei secoli del dominio ottomano (XVXVII), ma ha anche emarginato come «nemici della nazione» tutti gli altri gruppi etnici e religiosi, considerati dal XIX secolo strumenti delle potenze imperialiste che li usarono per i propri interessi e per indebolire lo Stato che aveva loro concesso per secoli tolleranza.
La narrazione del massacro degli armeni nel corso del primo conflitto mondiale capovolge le acquisizioni ormai decennali della storiografia internazionale e pone al centro del racconto la collaborazione armena con i russi nelle violenze contro i turchi e l’inevitabile necessità di «ricollocare» gli armeni in Siria, dove sopravvissero all’interno dell’Impero ottomano. Le cifre dei manuali turchi parlano di 300 mila armeni morti nel corso della guerra e per malattia, mentre sarebbero 600 mila i turchi uccisi dagli armeni e 500 mila quelli costretti a emigrare. Quanto tali cifre siano in contrasto con l’oltre un milione di morti del genocidio armeno, di cui diverse centinaia di migliaia proprio tra i sopravvissuti deportati nei campi della Siria, è significativo della rimozione della «questione armena» che perdura anche nei testi più recenti.
Le novità del nuovo curriculum proposto dal ministro dell’Educazione nazionale Ismet Yilmaz nel 2017 riguardano l’esclusione della teoria evoluzionistica a favore di una spiegazione teologica della creazione, l’inclusione della jihad come valore centrale e il recupero del panturchismo, secondo le indicazioni del padre del nazionalismo Ziya Gökalp sull’unità dei popoli turchi.
Nei nuovi testi principali pubblicati nel 2019 si è insistito sulla jihad ,chei musulmani sono chiamati a combattere se viene loro dichiarata guerra, e che permette di distinguere i veri Mmümin
(credenti) dai Münafik (ipocriti) e dai
Kafir (infedeli: i cristiani e gli ebrei non sono più chiamati i «popoli del Libro»). E sulle giustificazioni del terrorismo islamico come risposta all’arroganza statunitense, mentre i colpi di Stato militari del 1960, 1971 e 1980 sono rappresentati come azioni appoggiate dagli Usa per punire la Turchia. L’identità islamica ha preso ormai il sopravvento sulla cittadinanza turca che ancora sopravviveva nei manuali del 2003, e la condanna del «colpo di Stato» del 2016 apre con una settimana di propaganda l’anno accademico.