Corriere della Sera - La Lettura
Veto da Pechino su Gengis Khan
Xi Jinping pretende che le vicende recenti e remote del Paese vengano presentate «bene»
La reinterpretazione e manipolazione della storia e il suo impiego strumentale possono vantare in Cina una tradizione antica. Il caso più eclatante fu quello del Primo Imperatore (III secolo a. C.), bollato come usurpatore e crudele tiranno nel corso di una campagna denigratoria orchestrata dai suoi successori per legittimare il cambiamento dinastico avvenuto poco dopo la sua morte. Solo recentemente la sua figura e il suo operato sono stati rivalutati. E che dire del tentativo di revisione dell’intero processo storico avvenuto all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso sulla base di un criterio interpretativo che aveva nella lotta tra confucianesimo e legismo il suo focus? Il confucianesimo, le cui dottrine hanno plasmato la vita e il pensiero filosofico e politico dei cinesi per oltre due millenni, venne considerato un retaggio feudale e il principale ostacolo al processo di modernizzazione del Paese. Per contro, il legismo fu visto come un’ideologia progressista, il cui avvento decretò la sconfitta della classe dei proprietari di schiavi e portò all’unificazione imperiale.
Oggi Confucio e i valori confuciani sono stati ampiamente rivalutati e sono ritenuti essenziali, in quanto di nuovo funzionali alle politiche di governo. Cambiando le esigenze politiche, cambia valutazione e narrazione del passato.
La parola chiave dello slogan jiang hao Zhongguo gushi, «raccontare bene la storia/le storie della Cina», lanciato nel 2013 dal presidente Xi Jinping, è hao, «bene», che vuole dire: raccontare gli eventi «in modo conforme» alla visione del Partito comunista, anche se ciò dovesse comportare l’occultamento o la manipolazione di fatti o documenti rilevanti. Il fine ultimo è offrire, comunque e sempre, un’immagine edulcorata e positiva della realtà politica e sociale del Paese e dei suoi leader. Il governo e il dipartimento di propaganda del Pcc sono molto attivi nel promuovere iniziative e produrre materiali per rafforzare il senso identitario e il patriottismo dei cinesi e intervengono con prontezza per bloccare ogni forma di dissenso.
Nell’ultimo mese, ad esempio, l’exgiornalista Luo Changping è stato arrestato per avere criticato la ricostruzione del ruolo che la Cina ebbe nella guerra di Corea proposta in un film campione d’incassi. L’arresto è stato enfatizzato dai media, affinché fosse di monito. Negli stessi giorni il ministero degli Esteri vietnamita ha protestato per lo stravolgimento dei fatti narrati nel trailer di una serie televisiva chiaramente ispirata alla guerra sino-vietnamita del 1979.
La vigilanza si estende all’estero. La mostra su Gengis Khan e l’impero mongolo ideata dal Musée d’Histoire de Nantes con il Museo della Mongolia Interna è stata annullata a pochi mesi dall’inaugurazione (inizio 2021) per l’intervento a gamba tesa delle autorità cinesi, intenzionate a «riscrivere la storia della cultura mongola in favore di una nuova narrazione nazionale», ha spiegato il direttore Bertrand Guillet, che ha riproposto l’iniziativa per il 2023 attingendo alle sole collezioni europee e americane. Interventi simili non coinvolgono solo i musei, e non sempre c’è la volontà di aggirare o contrastare la censura.