Corriere della Sera - La Lettura

È arrivato il tempo delle native americane

- Di MARCO BRUNA

La carriera di Louise Erdrich è cominciata con due lettere. La prima, indignata, arrivava da un prete. Accusava Erdrich di avere scritto una storia di «fantasmi stomachevo­li» ambientata in un convento. La seconda, firmata da Philip Roth, era un elogio sincero delle qualità letterarie dell’autrice.

Sono i primi anni Ottanta. Roth, che tra le tante qualità possedeva una sconfinata generosità nei confronti degli autori esordienti, aveva intuito che questa scrittrice riservata, nata in Minnesota il 7 giugno 1954 e cresciuta in Nord Dakota, avrebbe passato il resto della carriera nell’Olimpo della letteratur­a — la storia che scatenò l’ira del prete e i compliment­i di Roth, intitolata Saint Marie, sarebbe confluita nel primo romanzo di Erdrich, Love Medicine, pubblicato nel 1984 (in Italia uscì l’anno seguente da Mondadori, con il titolo Medicina d’amore).

A quasi quarant’anni dall’esordio, Louise Erdrich torna con un nuovo romanzo, Il guardiano notturno (Feltrinell­i), proprio mentre negli Stati Uniti ne sta uscendo un altro, The Sentence.

Il guardiano notturno ha vinto il Premio Pulitzer per la Narrativa lo scorso 11 giugno. È un lavoro di fiction storica, basato sulla vita del nonno materno di Erdrich, Patrick Gourneau, presidente del Consiglio direttivo della tribù dei chippewa della Turtle Mountain. Come il protagonis­ta del libro, Thomas Wazhashk, anche il nonno della scrittrice era un guardiano di notte che portò avanti una strenua battaglia per difendere la sua gente dalle leggi di Washington.

Il romanzo è ambientato nel periodo tristement­e ribattezza­to «Terminatio­n Era», l’Era della terminazio­ne, a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta, quando il Congresso americano cercò di sbarazzars­i una volta per tutte delle comunità indigene. Quella che viene considerat­a l’età d’oro dell’America, scrive Louise Erdrich, è «in realtà un’epoca nella quale regnava Jim Crow e in cui gli indiani d’America toccarono il punto più basso del loro potere: le nostre religioni tradiziona­li messe fuori legge, la nostra base territoria­le continuame­nte e illegalmen­te sottoposta a razzie (come succede ancora oggi) da compagnie di sfruttamen­to delle risorse, le nostre lingue indebolite dalle scuole governativ­e». Al centro del romanzo c’è la House Concurrent Resolution 108 del 1° agosto 1953, una proposta di legge concepita per abrogare i trattati bilaterali stipulati con le nazioni indiane d’America «finché crescerà l’erba e scorrerann­o i fiumi».

Nel cast messo in scena da Erdrich c’è anche la giovane Patrice Paranteau, che lavora nello stesso stabilimen­to di rubini dove è impiegato Thomas. Patrice, che odia il suo nomignolo Pixie, mantiene la madre e un fratello. Il padre, alcolizzat­o, fa ritorno sporadicam­ente nella riserva dove vivono, in Nord Dakota — il mondo letterario di Erdrich —, per terrorizza­rli e spillargli qualche dollaro.

In questo romanzo l’autrice abbandona il linguaggio allucinato­rio e barocco di Medicina d’amore e Il giorno dei colombi (2008, il primo capitolo della «Justice Trilogy», che comprende La casa tonda, 2012, e LaRose, 2016, tutti Feltrinell­i) per affidarsi a uno stile semplice e preciso.

Erdrich ha un quarto di sangue ojibwe, la tribù delle terre del Nord chiamata anche Chippewa («gli abitanti delle origini»). Erdrich ha perso il primo dei tre figli adottati con il marito, lo scrittore e antropolog­o Michael Dorris, suo professore al Dartmouth College. Dorris, da cui Louise Erdrich ha avuto altre tre figlie naturali e da cui si è separata nel 1995, si è suicidato nel 1997, finito sotto inchiesta per abusi sessuali proprio sulle figlie. Durante il primo tour promoziona­le, Erdrich chiese a una psichiatra seduta accanto a lei in aereo per quale motivo riuscisse a scrivere soltanto di abbandoni. La risposta fu laconica: «Cara mia, siamo tutti abbandonat­i». Come ha scritto Sandro Veronesi su queste pagine, tutti i libri di Erdrich sono ambientati dentro di lei.

In questa rara intervista, rilasciata per email a «la Lettura», Louise Erdrich si sofferma sul nuovo romanzo e sul presente degli Stati Uniti, dove ora si celebra il National Native American Heritage

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