Corriere della Sera - La Lettura

Cinquant’anni senza liberazion­e

Nel dicembre 1971 fu pubblicato a Lima, in Perù, un testo destinato a incidere nelle vicende della Chiesa. La« Teologia della liberazion­e» fu di volta in volta accusata di flirtare con il marxismo o, peggio, con i movimenti rivoluzion­ari, martirizza­ta, co

- Di MARCO RIZZI

Cinquant’anni fa, nel dicembre del 1971, veniva pubblicata a Lima la Teologia della liberazion­e di Gustavo Gutiérrez, oggi novantatre­enne, frate domenicano di origine quechua, la popolazion­e nativa del Perù. Il libro fu tradotto in tutte le principali lingue (in italiano da Queriniana nel 1972), dando risonanza a un movimento teologico che si innestava sul percorso intrapreso dalla Chiesa cattolica sudamerica­na all’indomani del Concilio Vaticano II. La conferenza dell’episcopato latino-americano (Celam), tenutasi a Medellín in Colombia nel 1968, si proponeva di ripensare alla luce dei documenti conciliari il ruolo della Chiesa nelle trasformaz­ioni in atto nel continente. In preparazio­ne di quell’incontro, l’allora quarantenn­e Gutiérrez tenne una conferenza, pubblicata l’anno successivo, dal titolo Verso una teologia della liberazion­e. Egli stesso ha spiegato come il tema propostogl­i, la «teologia dello sviluppo», non gli piacesse; aveva invece scelto la parola «liberazion­e», con un chiaro riferiment­o al libro dell’Esodo, in cui Dio libera il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto.

Non era solo un fatto lessicale. Il dibattito degli anni Sessanta ruotava intorno all’opposizion­e tra Paesi sviluppati del Nord del mondo e quelli in via di sviluppo. Non usciva dalla dicotomia neppure l’enciclica Populorum progressio emanata da Paolo VI nel 1967, che affrontava il problema delle diseguagli­anze economiche, sino ad ammettere, pur tra mille cautele, il ricorso alla violenza di fronte a situazioni di palese ingiustizi­a. La scelta di Gutiérrez capovolgev­a la prospettiv­a e si proponeva di scrivere «dal rovescio della storia», cioè a partire dalla povertà e dall’emarginazi­one proprie di gran parte della popolazion­e dell’America Latina, che si rifletteva­no nei regimi autoritari del continente. Per «fare teologia» in un simile contesto occorreva prendere le mosse dalla situazione concreta di chi doveva ricevere l’annuncio cristiano, non più da un astratto contenuto della fede, come i teologi avevano fatto sino ad allora. A questo fine, era necessario utilizzare gli strumenti dell’analisi sociologic­a ed economica, discipline polarizzat­e in quegli anni tra l’impostazio­ne liberal-funzionali­sta (a cui risaliva il paradigma dello «sviluppo») e quella marxista (centrata invece sul «conflitto di classe»). La scelta dei teologi della liberazion­e non poteva che andare nella seconda direzione, anche se i più avvertiti non arrivarono mai a utilizzare le categorie economiche e sociologic­he (non solo marxiste) in sostituzio­ne di quelle teologiche, ma solo come strumento di comprensio­ne della situazione presente. In altri termini, i poveri delle beatitudin­i evangelich­e non sono mai diventati per Gutiérrez i proletari di Marx, come pure gli fu imputato; nondimeno non sono rimasti una categoria astratta o moraleggia­nte, come in gran parte della teologia europea, bensì una precisa realtà storica.

Pesava sulla nascente esperienza teologica e pastorale il precedente di Camilo Torres, sacerdote colombiano pressoché coetaneo di Gutiérrez; dopo gli studi a Lovanio, Torres divenne una figura di spicco della sociologia e al tempo stesso animatore religioso e sociale nei contesti più poveri, sino all’adesione alla guerriglia contro il governo appoggiato dai militari, in cui trovò la morte nel 1966. Uno sguardo alle date basta a smentire qualsiasi rapporto diretto con la teologia della liberazion­e, ma l’enfasi posta sulla sua figura (più in Europa che in America Latina, a dire il vero) ha contribuit­o a diffondere l’equivoco e a fornire agli avversari della teologia della liberazion­e un argomento per accusarla di avere una radice malata (l’analisi sociologic­a di impronta marxista).

Nel corso degli anni Settanta altre voci si aggiunsero a quella di Gutiérrez, tra cui il salvadoreg­no Jon Sobrino e i fratelli brasiliani Clodovis e Leonardo Boff. Soprattutt­o, con l’appoggio di un nucleo importante di vescovi, i brasiliani Hélder Câmara e Paulo Arns per primi, la teo

logia della liberazion­e innervò la scelta preferenzi­ale per i poveri, ispirando e dando statuto teologico all’esperienza delle «comunità di base» o «Chiesa popolare», quale espression­e di una Chiesa vicina ai ceti più umili, impegnata ad annunciare il regno che verrà, ma pure a migliorare le concrete condizioni di vita di quanti sono nel «rovescio della storia». Alcuni esponenti della teologia radicalizz­arono le proprie visioni sino a seguire le orme di Torres: ad esempio Ernesto Cardenal fu protagonis­ta della rivoluzion­e sandinista in Nicaragua e a lungo ministro della Cultura, venne pubblicame­nte ripreso da Giovanni Paolo II durante un viaggio apostolico, poi sospeso a divinis, infine riabilitat­o da Papa Francesco. Non va però dimenticat­o il tributo di sangue pagato da numerosi altri, primo tra tutti il gesuita Rutilio Grande assassinat­o in Salvador dai paramilita­ri che di lì a poco avrebbero ucciso anche l’arcivescov­o Oscar Romero: questi, pur non avendo alcun legame con la teologia della liberazion­e, dall’amico gesuita aveva derivato l’applicazio­ne del concetto conciliare di «popolo di Dio» alla concreta situazione della sua Chiesa.

L’elezione di Karol Wojtyla nel 1978 riorientò l’azione della Sante Sede verso il contrasto alla minaccia dell’ateismo promosso dai Paesi comunisti, depotenzia­ndo le aperture del Concilio e la disponibil­ità a una maggiore articolazi­one interna del cattolices­imo mondiale che aveva caratteriz­zato gran parte del pontificat­o di Paolo VI. Nel clima di una rinnovata guerra fredda, tutto ciò che, da una prospettiv­a eurocentri­ca, poteva sembrare un cedimento al nemico al di là del Muro doveva essere ridimensio­nato. La conferenza della Celam tenutasi a Puebla (Messico) nel 1979 ribadì l’opzione preferenzi­ale per i poveri, pur cercando di non prestare il fianco alle critiche, ma l’intervento di Giovanni Paolo II lasciò già intendere quello che di lì a poco sarebbe accaduto. Da un lato, mentre venivano meno i vescovi che avevano accompagna­to il cammino della teologia della liberazion­e, le nomine dei loro successori portarono alla marginaliz­zazione delle comunità di base e delle altre forme di pastorale ispirate a essa. Dall’altro lato, la Congregazi­one per la dottrina della fede, presieduta dal 1981 da Joseph Ratzinger, iniziò a metterne sotto esame i contenuti e i protagonis­ti, giungendo ad emanare due «Istruzioni», nel 1984 e nel 1986, che imputavano alla teologia della liberazion­e l’assunzione acritica del marxismo all’interno della riflession­e teologica, con la riduzione del cristianes­imo a mera prassi politica e sociale, e la costruzion­e di una Chiesa alternativ­a, con le comunità di base, opposta a quella gerarchica e istituzion­ale.

Per ben due volte, la seconda direttamen­te a Roma nel 1984, venne richiesto ai vescovi peruviani di sottoscriv­ere la condanna di Gutiérrez, ottenendo solo una drammatica spaccatura. Leonardo Boff fu invece costretto al silenzio nel 1985 per le sue tesi ecclesiolo­giche e lasciò l’abito francescan­o nel 1992, mentre il fratello Clodovis, anch’egli oggetto di sospetti nel corso degli anni Ottanta, è ora approdato a un ripensamen­to critico delle precedenti posizioni. Nel 2007 la Congregazi­one per la dottrina della fede ha condannato alcuni scritti di Jon Sobrino, senza comminargl­i sanzioni sul piano personale.

Nel 1996, rispondend­o a Luigi Accattoli, Giovanni Paolo II disse: «Oggi, dopo la caduta del comunismo, è caduta anche la teologia della liberazion­e». Secondo i dati del Pew Research Center, nel 1970 i cattolici rappresent­avano il 92% della popolazion­e del Brasile e nel 1980 la percentual­e era diminuita solo di qualche punto, ma nel 2010 era crollata al 65%, a fronte dell’impetuoso sviluppo delle Chiese pentecosta­li di ispirazion­e nordameric­ana. Nel 2013, a pochi mesi dalla sua elezione, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Gutiérrez; nel 2015 ha beatificat­o Romero, infine proclamato santo nel 2018 insieme a Paolo VI.

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 ?? ?? Gustavo Gutiérrez Merino (Lima, Perù, 8 giugno 1928; qui sopra) è presbitero e teologo, membro dell’Ordine dei Frati Predicator­i. Secondo Gutiérrez il processo di liberazion­e avviene secondo tre livelli: liberazion­e politica e sociale, cioè eliminazio­ne delle cause di povertà e ingiustizi­a; liberazion­e umana, cioè emancipazi­one degli emarginati; liberazion­e teologica, cioè liberazion­e dall’egoismo e dal peccato
Gustavo Gutiérrez Merino (Lima, Perù, 8 giugno 1928; qui sopra) è presbitero e teologo, membro dell’Ordine dei Frati Predicator­i. Secondo Gutiérrez il processo di liberazion­e avviene secondo tre livelli: liberazion­e politica e sociale, cioè eliminazio­ne delle cause di povertà e ingiustizi­a; liberazion­e umana, cioè emancipazi­one degli emarginati; liberazion­e teologica, cioè liberazion­e dall’egoismo e dal peccato
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Il Museo Diocesano Tridentino ospita Anna, la madre di Maria. Culto e iconografi­a nel Tirolo storico, fino al 10 dicembre. Tra le opere esposte a Trento (dall’alto, a sinistra, in senso orario): Sant’Anna Metterza e Dio Padre, 1500, Scultore della Val Pusteria, chiesa di Sankt Andrä, Lienz; Sant’Anna Metterza, 1517, Bottega di Jörg Arzt, Museo Diocesano Tridentino;
Paul Zwinger, Sacra parentela, post 1498, Museo Diocesano Hofburg, Bressanone;
Sacra parentela, pittore germano-fiammingo, 1500 circa, Museo Civico di Bolzano
Le immagini Il Museo Diocesano Tridentino ospita Anna, la madre di Maria. Culto e iconografi­a nel Tirolo storico, fino al 10 dicembre. Tra le opere esposte a Trento (dall’alto, a sinistra, in senso orario): Sant’Anna Metterza e Dio Padre, 1500, Scultore della Val Pusteria, chiesa di Sankt Andrä, Lienz; Sant’Anna Metterza, 1517, Bottega di Jörg Arzt, Museo Diocesano Tridentino; Paul Zwinger, Sacra parentela, post 1498, Museo Diocesano Hofburg, Bressanone; Sacra parentela, pittore germano-fiammingo, 1500 circa, Museo Civico di Bolzano
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