Corriere della Sera - La Lettura

L’emancipata sant’Anna finì «normalizza­ta»

- Di ANNA GANDOLFI

Zero righe. Sant’Anna nelle Sacre scritture non c’è. La madre di Maria, e nonna di Gesù, compare nella letteratur­a apocrifa. Ed è da lì che, nel II secolo, viene ripresa per colmare il vuoto di dettagli sulla famiglia di Cristo. Anna non è martire, non vive in povertà (anzi, fa beneficenz­a), non è vergine, non fa miracoli. È moglie devota, in succession­e e per vedovanza, di tre mariti (il primo è Gioacchino). «Non è un personaggi­o religioso “eroico”. Ma è molto amata», spiega Alessandra Galizzi Kroegel che, con Stefanie Paulmichl, cura al Museo Diocesano di Trento Anna, la madre di Maria, mostra sull’iconografi­a della santa. «È una donna forte, tanto che nel XV secolo gli umanisti, in particolar­e nel Nord Europa, la propongono come modello pio ed emancipato».

Da qui, «Anna Metterza»: un tipo di rappresent­azione che la vede monumental­e (tanto da essere sproporzio­nata), cuore di una sacra parentela gioiosa, pronta a proteggere figlia e nipote, a insegnare loro a leggere (dettaglio ignorato in Italia). Poi tutto cambia. Lutero fa di Anna, e della sua carica di umanità, emblema del culto dei santi «più superstizi­oso e deleterio». La Controrifo­rma, che va accentuand­o il ruolo patriarcal­e, non è da meno. «Vedova, anziana, autorevole: è osteggiata. Triste ma vero, pare che proprio sul piano di questa visione misogina Riforma e Controrifo­rma si incontraro­no». Nelle opere, da fine XVI secolo, la matriarca arretra, invecchia. Era emancipata, viene normalizza­ta. «E questa è una parabola che anche oggi fa riflettere».

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