Corriere della Sera - La Lettura
L’illusionista fa sul serio (e si mette a uccidere)
Camilla Läckberg, regina del giallo scandinavo, pubblica un romanzo a quattro mani con Henrik Fexeus, autore lui stesso e famoso mentalista, esperto di linguaggi non verbali. La trama e questa conversazione sono un’occasione per riflettere sul rapporto tra realtà e finzione. Perché, dicono, «anche la scrittura è un inganno»
Una sword box, la cassa delle spade, viene ritrovata al luna park di Gröna Lund, Stoccolma. All’interno una donna trafitta da diverse lame. Una seconda vittima è fatta a pezzi dentro un’altra cassa: questa volta è il trucco della Zig-zag lady, la donna tagliata a metà, a essere inscenato. E poi un terzo delitto, altro gioco di prestigio finito male; e accanto ai cadaveri un orologio rotto: il conto alla rovescia è iniziato. Quale sarà l’illusione numero zero?
Si basa su giochi di sangue Il codice dell’illusionista (Marsilio), il thriller scritto dalla regina del giallo scandinavo, Camilla Läckberg (1974), con il mentalista e scrittore svedese Henrik Fexeus (1971), in quello che è il primo titolo di una trilogia a quattro mani. Con una nuova coppia di «strani» protagonisti: la detective misofoba Mina Dabiri, ossessionata dai batteri e incapace di sfiorare qualunque cosa; e Vincent Walder, noto mentalista, chiamato dalla polizia per aiutare nelle indagini, e assillato dall’ordine e dalla simmetria numerica. «La Lettura» ha incontrato via «Zoom» i due autori che hanno ripercorso la genesi di una storia che unisce traumi, follia, indagine sociale e psicologica e giochi di prestigio. In un disturbante equilibrio tra illusione e realtà.
Come nasce questa collaborazione?
HENRIK FEXEUS — Io e Camilla siamo amici da tempo; due anni fa abbiamo considerato l’idea di scrivere un libro che avesse per protagonista un mentalista, un personaggio che io avevo immaginato. Con il tempo ci siamo resi conto che avevamo una bellissima storia, e pure una serie di possibili sviluppi, che dovevamo scrivere insieme. E questa è stata un’idea terrificante.
CAMILLA LÄCKBERG — Sì, terrificante perché né Henrik né io amiamo lavorare con gli altri, siamo entrambi due individualisti nel nostro essere creativi. Così abbiamo iniziato a lavorare in segretezza, dicendolo solo alle nostre famiglie, e ci siamo detti che al minimo problema avremmo scelto l’amicizia.
Come avete lavorato alla stesura del romanzo?
HENRIK FEXEUS — Abbiamo evitato di dividerci le parti, volevamo che il libro fosse il prodotto di una voce unica, coesa e coerente. Ci scambiavamo le scene, cercando di alternare i personaggi, le riscrivevamo, e così via. Fin dall’inizio avevamo chiara l’impalcatura generale della trama che ci serviva da guida.
CAMILLA LÄCKBERG — Abbiamo mescolato così tanto la scrittura che ora non riusciamo a ricostruire chi abbia scritto cosa. Abbiamo trovato una voce comune alla quale ci possiamo riallacciare con facilità.
Dove nasce l’idea delle scatole magiche che diventano un gioco di sangue?
CAMILLA LÄCKBERG — Siamo partiti dal desiderio di lavorare su trucchi di magia finiti male e abbiamo buttato giù una lista da cui attingere per gli omicidi. HENRIK FEXEUS — Sì, una cinquantina di trucchi che avevano a che fare con la morte e con la resurrezione.
Perché avete scelto protagonisti che hanno un profilo psicologico dai tratti ossessivo-compulsivi?
CAMILLA LÄCKBERG — Fruga in quello che conosci: sia Henrik che io siamo cresciuti dal punto di vista sociale con un certo senso di inadeguatezza, di goffaggine, e forse anche da adulti non ci sentiamo mai completamente a nostro agio con gli altri. Ci piaceva l’idea di costruire una coppia di estranei che però riescono a trovare l’uno nell’altra elementi positivi.
HENRIK FEXEUS — Anche nella nostra vita sociale io e Camilla tendiamo ad avvicinarci a personalità «strane»; forse è per questo che siamo interessati l’uno all’altra. Essere quello un po’ bizzarro ha fatto parte di me fin da bambino ed è quindi un’esperienza con la quale entrambi ci possiamo identificare molto.
CAMILLA LÄCKBERG — Ora contiamo sul fatto che i nostri amici non conoscono l’italiano e non leggeranno mai che ci piace frequentare gente stramba...
Indagine psicologica e retorica non verbale sono al centro de «Il codice dell’illusionista».
HENRIK FEXEUS — Sì, il protagonista Vincent, in quanto mentalista, ha un approccio alla psicologia e alla comunicazione non verbale diverso dalla polizia.
CAMILLA LÄCKBERG — E questo non è nemmeno così lontano dalla realtà: Henrik ha lavorato con la polizia tenendo corsi di formazione.
HENRIK FEXEUS — Non ho lavorato a casi di omicidio, ma con la squadra di prevenzione contro il terrorismo. Ho formato i mediatori aiutandoli a interpretare il linguaggio del corpo e la comunicazione non verbale. Anche per questo nel libro è stato importante che l’aspetto psicologico fosse corretto e fondato.
Quanto avete mescolato realtà e fantasia?
HENRIK FEXEUS — Quello che raccontiamo sull’illusionismo è tutto vero, come il modo in cui vengono realizzati scatole e giochi di prestigio. Per esempio il personaggio di Sains Bergander, che costruisce gli strumenti e i set di magia, è reale. Ed è vera anche la storia sugli illusionisti che in passato pubblicavano nei libri i loro trucchi, sbagliati di proposito, per non essere copiati.
CAMILLA LÄCKBERG — Abbiamo anche un’esperta forense che ci aiuta per tutte le parti legate all’anatomopatologia e una rete di persone con cui ci confrontiamo.
Fexeus, chi è un mentalista?
HENRIK FEXEUS — È un intrattenitore che usa le sue conoscenze in campo psicologico e sul comportamento umano, e usa anche i trucchi per creare l’illusione di poter leggere nel pensiero. Il mentalista deve sapere interpretare il linguaggio del corpo e dev’essere competente nel campo della psicologia applicata. C’è però una zona d’ombra in questa professione: non sono uno psicologo, ma di fatto posso andare in tv, com’è successo, a fare illusioni come fare dimenticare alle madri i nomi dei loro figli, senza essere attaccato perché non appartengo a nessuna categoria professionale.
Läckberg, com’è stato approcciarsi a un personaggio, Vincent, che fa lo stesso lavoro del suo collega?
CAMILLA LÄCKBERG — È stato facile perché conosco Henrik da molti anni, ho una certa familiarità con quello che fa. Invece lui si è rifiutato di scrivere la parte in cui Mina è attratta da Vincent perché si è imbarazzato.
Realtà e finzione: come l’illusionismo inganna lo spettatore, o in questo caso il lettore?
HENRIK FEXEUS — Anche la scrittura è un lavoro di illusione; noi siamo illusionisti nel momento in cui scriviamo. L’ultimo titolo della serie sarà Mirage ,cheèun sinonimo di illusione, ma solo allora il lettore capirà che quella parola rappresenta un significato del tutto diverso. Viviamo in un mondo regolato dalle leggi della natura, come quella di gravità, e l’illusione lancia una sfida alle certezze, facendoci immaginare come sarebbe un oggetto se anziché cadere verso il basso volasse verso l’alto, o se un fazzoletto cambiasse colore. Cogliere questa sfida ed esplorarne le possibili conseguenze ci aiuta nella comprensione del mondo che ci circonda.
Il Goncourt Pierre Lemaitre ne «Il giallo secondo me» (Mondadori; intervistato su «la Lettura» #516 del 17 ottobre) dice che il giallo scandinavo ha prevalso sugli altri per ragioni editoriali. Cosa ne pensate?
CAMILLA LÄCKBERG — Quando un genere domina il mercato per tanti anni è difficile definirlo una moda o una tendenza passeggera, non può non avere a che fare con la qualità. Sono convinta che nei Paesi del nord ci sia una produzione unica e una tradizione molto ancorata, è un genere in cui siamo bravi e che viene tenuto in grande stima. Oggi il mercato editoriale va molto bene, e durante la pandemia qui non ha sofferto affatto.
HENRIK FEXEUS — Quando qualcuno mi dice che sta leggendo un libro, senza altri dettagli, per me è ovvio che sia un giallo, o verrebbe specificato. Questo per dare un’idea di quanto sia popolare questo genere letterario. E una delle ragioni di questo dominio internazionale è seduta qui con me, perché Camilla Läckberg ha contribuito notevolmente al successo del giallo scandinavo.