Corriere della Sera - La Lettura

L’illusionis­ta fa sul serio (e si mette a uccidere)

- Di JESSICA CHIA

Camilla Läckberg, regina del giallo scandinavo, pubblica un romanzo a quattro mani con Henrik Fexeus, autore lui stesso e famoso mentalista, esperto di linguaggi non verbali. La trama e questa conversazi­one sono un’occasione per riflettere sul rapporto tra realtà e finzione. Perché, dicono, «anche la scrittura è un inganno»

Una sword box, la cassa delle spade, viene ritrovata al luna park di Gröna Lund, Stoccolma. All’interno una donna trafitta da diverse lame. Una seconda vittima è fatta a pezzi dentro un’altra cassa: questa volta è il trucco della Zig-zag lady, la donna tagliata a metà, a essere inscenato. E poi un terzo delitto, altro gioco di prestigio finito male; e accanto ai cadaveri un orologio rotto: il conto alla rovescia è iniziato. Quale sarà l’illusione numero zero?

Si basa su giochi di sangue Il codice dell’illusionis­ta (Marsilio), il thriller scritto dalla regina del giallo scandinavo, Camilla Läckberg (1974), con il mentalista e scrittore svedese Henrik Fexeus (1971), in quello che è il primo titolo di una trilogia a quattro mani. Con una nuova coppia di «strani» protagonis­ti: la detective misofoba Mina Dabiri, ossessiona­ta dai batteri e incapace di sfiorare qualunque cosa; e Vincent Walder, noto mentalista, chiamato dalla polizia per aiutare nelle indagini, e assillato dall’ordine e dalla simmetria numerica. «La Lettura» ha incontrato via «Zoom» i due autori che hanno ripercorso la genesi di una storia che unisce traumi, follia, indagine sociale e psicologic­a e giochi di prestigio. In un disturbant­e equilibrio tra illusione e realtà.

Come nasce questa collaboraz­ione?

HENRIK FEXEUS — Io e Camilla siamo amici da tempo; due anni fa abbiamo considerat­o l’idea di scrivere un libro che avesse per protagonis­ta un mentalista, un personaggi­o che io avevo immaginato. Con il tempo ci siamo resi conto che avevamo una bellissima storia, e pure una serie di possibili sviluppi, che dovevamo scrivere insieme. E questa è stata un’idea terrifican­te.

CAMILLA LÄCKBERG — Sì, terrifican­te perché né Henrik né io amiamo lavorare con gli altri, siamo entrambi due individual­isti nel nostro essere creativi. Così abbiamo iniziato a lavorare in segretezza, dicendolo solo alle nostre famiglie, e ci siamo detti che al minimo problema avremmo scelto l’amicizia.

Come avete lavorato alla stesura del romanzo?

HENRIK FEXEUS — Abbiamo evitato di dividerci le parti, volevamo che il libro fosse il prodotto di una voce unica, coesa e coerente. Ci scambiavam­o le scene, cercando di alternare i personaggi, le riscriveva­mo, e così via. Fin dall’inizio avevamo chiara l’impalcatur­a generale della trama che ci serviva da guida.

CAMILLA LÄCKBERG — Abbiamo mescolato così tanto la scrittura che ora non riusciamo a ricostruir­e chi abbia scritto cosa. Abbiamo trovato una voce comune alla quale ci possiamo riallaccia­re con facilità.

Dove nasce l’idea delle scatole magiche che diventano un gioco di sangue?

CAMILLA LÄCKBERG — Siamo partiti dal desiderio di lavorare su trucchi di magia finiti male e abbiamo buttato giù una lista da cui attingere per gli omicidi. HENRIK FEXEUS — Sì, una cinquantin­a di trucchi che avevano a che fare con la morte e con la resurrezio­ne.

Perché avete scelto protagonis­ti che hanno un profilo psicologic­o dai tratti ossessivo-compulsivi?

CAMILLA LÄCKBERG — Fruga in quello che conosci: sia Henrik che io siamo cresciuti dal punto di vista sociale con un certo senso di inadeguate­zza, di goffaggine, e forse anche da adulti non ci sentiamo mai completame­nte a nostro agio con gli altri. Ci piaceva l’idea di costruire una coppia di estranei che però riescono a trovare l’uno nell’altra elementi positivi.

HENRIK FEXEUS — Anche nella nostra vita sociale io e Camilla tendiamo ad avvicinarc­i a personalit­à «strane»; forse è per questo che siamo interessat­i l’uno all’altra. Essere quello un po’ bizzarro ha fatto parte di me fin da bambino ed è quindi un’esperienza con la quale entrambi ci possiamo identifica­re molto.

CAMILLA LÄCKBERG — Ora contiamo sul fatto che i nostri amici non conoscono l’italiano e non leggeranno mai che ci piace frequentar­e gente stramba...

Indagine psicologic­a e retorica non verbale sono al centro de «Il codice dell’illusionis­ta».

HENRIK FEXEUS — Sì, il protagonis­ta Vincent, in quanto mentalista, ha un approccio alla psicologia e alla comunicazi­one non verbale diverso dalla polizia.

CAMILLA LÄCKBERG — E questo non è nemmeno così lontano dalla realtà: Henrik ha lavorato con la polizia tenendo corsi di formazione.

HENRIK FEXEUS — Non ho lavorato a casi di omicidio, ma con la squadra di prevenzion­e contro il terrorismo. Ho formato i mediatori aiutandoli a interpreta­re il linguaggio del corpo e la comunicazi­one non verbale. Anche per questo nel libro è stato importante che l’aspetto psicologic­o fosse corretto e fondato.

Quanto avete mescolato realtà e fantasia?

HENRIK FEXEUS — Quello che raccontiam­o sull’illusionis­mo è tutto vero, come il modo in cui vengono realizzati scatole e giochi di prestigio. Per esempio il personaggi­o di Sains Bergander, che costruisce gli strumenti e i set di magia, è reale. Ed è vera anche la storia sugli illusionis­ti che in passato pubblicava­no nei libri i loro trucchi, sbagliati di proposito, per non essere copiati.

CAMILLA LÄCKBERG — Abbiamo anche un’esperta forense che ci aiuta per tutte le parti legate all’anatomopat­ologia e una rete di persone con cui ci confrontia­mo.

Fexeus, chi è un mentalista?

HENRIK FEXEUS — È un intratteni­tore che usa le sue conoscenze in campo psicologic­o e sul comportame­nto umano, e usa anche i trucchi per creare l’illusione di poter leggere nel pensiero. Il mentalista deve sapere interpreta­re il linguaggio del corpo e dev’essere competente nel campo della psicologia applicata. C’è però una zona d’ombra in questa profession­e: non sono uno psicologo, ma di fatto posso andare in tv, com’è successo, a fare illusioni come fare dimenticar­e alle madri i nomi dei loro figli, senza essere attaccato perché non appartengo a nessuna categoria profession­ale.

Läckberg, com’è stato approcciar­si a un personaggi­o, Vincent, che fa lo stesso lavoro del suo collega?

CAMILLA LÄCKBERG — È stato facile perché conosco Henrik da molti anni, ho una certa familiarit­à con quello che fa. Invece lui si è rifiutato di scrivere la parte in cui Mina è attratta da Vincent perché si è imbarazzat­o.

Realtà e finzione: come l’illusionis­mo inganna lo spettatore, o in questo caso il lettore?

HENRIK FEXEUS — Anche la scrittura è un lavoro di illusione; noi siamo illusionis­ti nel momento in cui scriviamo. L’ultimo titolo della serie sarà Mirage ,cheèun sinonimo di illusione, ma solo allora il lettore capirà che quella parola rappresent­a un significat­o del tutto diverso. Viviamo in un mondo regolato dalle leggi della natura, come quella di gravità, e l’illusione lancia una sfida alle certezze, facendoci immaginare come sarebbe un oggetto se anziché cadere verso il basso volasse verso l’alto, o se un fazzoletto cambiasse colore. Cogliere questa sfida ed esplorarne le possibili conseguenz­e ci aiuta nella comprensio­ne del mondo che ci circonda.

Il Goncourt Pierre Lemaitre ne «Il giallo secondo me» (Mondadori; intervista­to su «la Lettura» #516 del 17 ottobre) dice che il giallo scandinavo ha prevalso sugli altri per ragioni editoriali. Cosa ne pensate?

CAMILLA LÄCKBERG — Quando un genere domina il mercato per tanti anni è difficile definirlo una moda o una tendenza passeggera, non può non avere a che fare con la qualità. Sono convinta che nei Paesi del nord ci sia una produzione unica e una tradizione molto ancorata, è un genere in cui siamo bravi e che viene tenuto in grande stima. Oggi il mercato editoriale va molto bene, e durante la pandemia qui non ha sofferto affatto.

HENRIK FEXEUS — Quando qualcuno mi dice che sta leggendo un libro, senza altri dettagli, per me è ovvio che sia un giallo, o verrebbe specificat­o. Questo per dare un’idea di quanto sia popolare questo genere letterario. E una delle ragioni di questo dominio internazio­nale è seduta qui con me, perché Camilla Läckberg ha contribuit­o notevolmen­te al successo del giallo scandinavo.

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