Corriere della Sera - La Lettura
Il rene suino per gli umani interroga anche l’etica
Il primo xenotrapianto è avvenuto con l’uso delle tecnologie più avanzate. Ci vorrà ancora del tempo, ma siamo sulla buona strada per combattere il traffico di organi. Adesso anche la filosofia deve pronunciarsi contro le derive tecnofobiche
Porta la data del 19 ottobre la notizia del primo (xeno)trapianto di un rene di maiale, «umanizzato»: lo ha ricevuto una donna in stato vegetativo per morte cerebrale e che, con l’accordo dei familiari, tre giorni dopo sarebbe stata staccata dalle macchine salvavita. Il tutto a New York presso la Nyu Grossman School of Medicine, frutto di una sperimentazione di brevissima durata per verificare il corretto funzionamento del rene di maiale geneticamente modificato. È questo il traguardo di un progetto di ricerca del tipo «dal laboratorio al letto del paziente» iniziato nel 2014 dai biologi della Synthetic Genomics (La Jolla) con l’obiettivo finale di «umanizzare» un ceppo di maiale (Sus scrofa domesticus L.) di taglia ridotta, cambiandone radicalmente alcune caratteristiche genetiche così che gli organi impiegati per lo xenotrapianto in umano non dessero luogo a reazioni di rigetto per incompatibilità immunologica. Il maiale è l’animale più simile all’uomo in termini antropometrici, la biomassa equivale abbastanza a quella umana e le dimensioni dei pricipali organi di interesse (rene, cuore, fegato, pancreas, polmone ed anche la pelle) sono tali da poter essere ospitati nel corpo umano (gli organi di una pecora sono troppo piccoli, quelli di un bue troppo grandi).
La strategia adottata di ricorrere allo xenotrapianto risponde alla cronica carenza di organi poiché la generosa offerta da parte di tanti donatori non copre la domanda terapeutica. Solo per restare alle statistiche nordamericane, in Usa ogni giorno 15 dei circa 100 mila pazienti in attesa di un rene muoiono. Più in generale sono circa un milione i pazienti in attesa di un organo (rene, cuore, polmone, fegato, pancreas) e ben 7.300 muoiono senza riceverlo; in Cina, per il solo rene, 1,5 milioni in attesa. Non solo il rene, anche altri organi sono estremamente scarsi e questo fatto vale per tutti i registri nazionali, è un fatto universale; per le statistiche italiane il ministero della Salute aggiorna costantemente i dati.
Sono dei numeri da tragedia: segnalano una scarsità che rimane tale da molti anni, paradossalmente aumentata da quando è divenuta obbligatoria la cintura di sicurezza per la guida degli autoveicoli, fatto che ha aggravato la scarsità di organi utili per il trapianto. Questa situazione genera il commercio di organi; i diseredati del pianeta vendono il proprio corpo a chi dispone di carta di credito. Da incubo le statistiche fornite dal centro Counter-Trafficking Data Collaborative. Qui si analizzano anche i dati del «turismo dei trapianti» e così emerge che annualmente circa il 10% delle vittime di traffico di esseri umani è anche vittima del traffico di organi. Commercio di organi formalmente vietato in tutti i Paesi con l’eccezione dello Yemen e dell’Iran; ma mentre in Iran è controllato dal sistema sanitario nazionale (che bilancia domande e offerte) gli yemeniti più poveri si recano in Egitto per vendere a prezzi irrisori i propri organi.
Con l’avvento della rete si è poi aggravato l’illecito del traffico di organi, con l’emergere di truffe come quella della pagina «Kidney urgently needed» che si presenta come sede indiana dell’Organizzazione mondiale della sanità, e pubblica un listino prezzi! In Usa un rene illegale costa circa 10 mila dollari. Paradigmatico di quanto succede in ogni dove, dal Sudamerica all’Europa, dal Sud Est asiatico all’Africa, è il caso scoperto nel 2008 nella città di Moradabad (vicino a New Dehli). La polizia scoprì una clinica ove il dottor Amit Kumar da molti anni praticava un commercio illegale di reni per ricchi americani, inglesi, canadesi, greci... La città è conosciuta come la patria degli uomini con un solo rene ed una vistosa cicatrice, controlaterale, nella sede anatomica dell’unico rene rimasto in corpo.
Il progetto della Synthetic (senza troppo fantasia chiamato GalSafe) iniziò i propri lavori sette anni or sono grazie alla fusione con la United Therapeutics (Maryland) motivata anche dal fatto che la figlia del suo fondatore (Martine Rothblatt) soffre di una rara malattia polmonare per la quale potrebbe essere utile il trapianto di polmone. Superati i primi ostacoli (il principale, l’infiammazione degli organi del maiale e la formazione di coaguli subito dopo l’espianto) nei primi anni le difficoltà sono state causate dalla scarsa precisione delle «forbici genetiche» disponibili per «editare» i geni del maiale coinvolti nella reazione del rigetto immunologico, molti dei quali già identificati. Le difese immunitarie dell’uomo (anticorpi e linfociti T in primis) scatenano reazioni di rigetto verso tutto ciò che non è riconosciuto geneticamente come umano (batteri, virus, etc) ed in particolare nel caso dei trapianti si sviluppa la «malattia del trapianto contro l’ospite» (Graft-versus-Host Disease, Gvhd). Da poco meno di vent’anni la caccia ai geni coinvolti aveva identificato un gene (chiamato «alpha 1,3-galattosiltransferasi») coinvolto nella produzione di uno zucchero che si deposita sulla superficie delle membrane delle cellule di maiale (ma assente su quelle umane) e dunque capace di attivare un’aggressiva reazione immunitaria da parte dell’uomo. Chiunque pensi di utilizzare gli organi di maiale per gli xenotrapianti deve di necessità silenziare (eliminare) questo gene, in termini tecnici deve compiere un operazione di knock-out genico. Tecniche di editing del genoma (forbici genetiche) ben adatte sono oggi disponibili, Crispr-Cas9 tra tutte (è valsa il Nobel 2020 per la chimica a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna).
Eliminato dal genoma suino questo gene, i biologi della Revivicor, per facilitare l’accettazione immunologica dell’organo da trapiantare, hanno introdotto un gene umano nel genoma del maiale, il gene che porta all’espressione di una proteina di riconoscimento specifica dell’uomo, il Cd46 (Cluster of Differentiation 46). Diverse compagnie biotecnologiche sono impegnate nella umanizzazione degli organi del maialino (la Revivicor una di queste) modificando geneticamente un numero più o meno elevato di geni ma tutte hanno in comune: a) l’eliminazione del gene per la «alpha 1,3»; b) l’introduzione del gene per il Cd46 e quello per la produzione della trombomodulina (una proteina capace di prevenire la formazione dei coaguli di sangue); c) l’eliminazione dei virus porcini che potrebbero compiere spillover.
Ci vorrà ancora qualche anno prima che il trapianto di rene (o di altro organo) da maiale a uomo diventi pratica medica corrente e però già oggi i biologi portano all’attenzione del grande pubblico e della riflessione filosofica ed etica la valutazione chiave da compiere. Il maialino umanizzato deve essere considerato a) semplicemente un incubatore per i trapianti di organo; b) un prodotto medicale; c) uno strumento medicale. Dalla decisione al riguardo dipendono a cascata decisioni chiave da parte delle agenzie regolatrici, così da rendere agevoli, veloci ed universali le applicazioni pratiche o, all’opposto, decisioni capaci di creare disomogeneità ed ingiustizie terapeutiche.
In Europa questi maialini cadrebbero entro le cornici legali che regolano i prodotti Ogm, poiché modificati con la tecnica Crispr-Cas9 per eliminare geni suini ed introdurre geni umani, e dunque ne sarebbe vietato l’impiego; in Cina, mancando una regolamentazione al riguardo, probabilmente no. Già il 10 luglio 2020 il Parlamento europeo ha dovuto votare (per fortuna a favore: 505 si, 67 no, 109 astenuti) una deroga per poter utilizzare alcuni vaccini anti-Covid-19 (il vaccino prodotto da Moderna, ad esempio, che sulle fiale porta l’indicazione «prodotto Ogm»).
Filosofi, eticisti e decisori politici debbono ora esprimersi senza generare paure e fantasmi che alimentano l’immaginario tecnofobico del grande pubblico come purtroppo accaduto con la tecnica del trapianto nucleare che permette di generare cloni. Ancora oggi la norma che la regola, per il timore che la tecnica venga utilizzata per clonare umani, ne vieta l’utilizzo tout court: così è impossibile prevenire le malattie mitocondriali. È ora che i pensatori di varia estrazione sappiano mettere a reddito le fatiche e gli anni spesi in laboratorio dai biologi, così da permettere ai medici di utilizzare al meglio i risultati raggiunti e soddisfare le domande terapeutiche, ad oggi inevase, di chi soffre: si tratta di capire la differenza tra la tecnica ed il prodotto della tecnica.