Corriere della Sera - La Lettura
Il mondo annega tra i rifiuti
Nel mondo si producono ogni anno 2 miliardi di tonnellate di rifiuti. Un 35% è generato in Europa e Nord America, e viene gestito in qualche modo. Della parte che resta, circa il 40% si origina in Asia meridionale e orientale. Un altro 11% in America Latina. Il resto tra Africa e Medio Oriente. Con poche eccezioni (Giappone, Australia, Nuova Zelanda), in questi Paesi è già tanto se i rifiuti vengono raccolti e ammassati in una discarica. Si stima che il 33% dei rifiuti a livello globale (ma una frazione ben maggiore se riferita ai Paesi poveri) vengano gettati dove capita. Una parte viene bruciata a cielo aperto, un’altra parte viene portata via dai fiumi e da questi riversata in mare. Circa il 12% dei rifiuti è plastica. Solo dagli imballaggi, si stima che 25 milioni di tonnellate ogni anno vengano abbandonati in modo incontrollato. Ma è solo la punta dell’iceberg. Il 12% di due miliardi fanno 240 milioni di tonnellate. E il 33% di 240 fanno 80 milioni. È un conto fatto a spanne. Ma rende l’idea.
La plastica non va criminalizzata. È un materiale leggero, versatile, isolante, poco costoso, adatto a conservare le cose deperibili e a proteggere quelle fragili. Le sue proprietà ne hanno decretato il successo. Nel 1950, ancora praticamente non esisteva. Ma tra i tanti pregi, ha il difetto di inquinare, se non adeguatamente gestita. Sull’origine delle isole di plastica negli oceani si sono fatte varie congetture. Non saranno certamente del tutto estranee le reti da pesca o i micropolimeri rilasciati dai capi sintetici, ma sembra abbastanza ovvio che il principale indiziato siano proprio quelle decine di milioni di tonnellate che i Paesi poveri non riescono a gestire.
Una crescita dirompente interessa da decenni le economie emergenti. Questo ha permesso a miliardi di persone di uscire dalla povertà. Ma la crescita del Pil non si è accompagnata a quella di servizi ambientali adeguati. Noi all’epoca abbiamo fatto lo stesso, anche se la plastica non c’era. Ora si tratta di aiutare i Paesi emergenti a costruire un sistema di gestione dei rifiuti. L’esperienza europea insegna che è possibile, ma non avviene spontaneamente, né si può improvvisare, come s’è visto alla Cop26 di Glasgow (in corso fino al 12 novembre). E va fatto al più presto.