Corriere della Sera - La Lettura
Rick Riordan: la capitana coraggiosa nel mare di Nemo
L’autore di Percy Jackson torna con una protagonista femminile (la prima), discendente del personaggio di Verne. «La sua eredità è basata sulla scienza, non sulla mitologia . E mostra i limiti del potere umano»
Torna l’autore di Percy Jackson, con uno splendido libro ambientato tra i mari, La figlia degli abissi. Non ci sono divinità greche, magie o ragazzi peculiari, ma un’Accademia per giovani capitani e una ragazza tostissima che discende dal capitano Nemo, ovvero il mito moderno creato un secolo e mezzo fa da Jules Verne.
In Italia generazioni di studenti sono cresciuti con il grido di Senofonte: Zalatta, Zalatta, mare, mare! Cos’è il mare, per lei?
«Una fonte di ispirazione e di paura. Da bambino vivevo in Texas, a San Antonio, lontano dalla costa, ma andavamo in spiaggia ogni estate e ricordo bene l’immensità dell’orizzonte. Poi ho visto Lo squalo al cinema e non ho mai più voluto nuotare! Mi ci sono voluti molti anni per superare il terrore e il Capitano Nemo mi ha aiutato parecchio. Mi intrigava l’idea di esplorare il mare con la protezione di un sottomarino evoluto».
Il mare è un ponte o una barriera?
«Tutt’e due: fisici e mentali. Anche gli antichi romani guardavano con sospetto al mare nostrum, riconoscendone la potenza e la minaccia. Penso agli immigrati sui gommoni che cercano di raggiungere l’Italia a ogni costo. Ma penso anche all’Ulisse di Dante, che prova ad andare oltre le colonne d’Ercole nonostante la sua ultima dannazione: “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”. Per molti motivi, il Capitano Nemo è una versione di Ulisse».
Quando ha scoperto Verne?
«Con il film Ventimila leghe sotto i mari. A quel tempo, negli anni Sessanta, gli effetti speciali mi sembravano incredibili. Poco dopo ho cominciato a leggere i fumetti Classics Illustrated che i miei zii avevano collezionato molti anni prima. I libri di Verne erano troppo difficili per me, non li ho letti fino a quando non sono stato adulto. Ma la sua grande immaginazione mi affascinò, e così il suo ottimismo per il futuro. Oggi è più difficile trovare quel tipo di fede nella scienza. Verne mi ha insegnato che i miti e la scienza sono due modi di descrivere le possibilità dell’esperienza umana».
Avete un tratto in comune: scrivete grande narrativa che trasmette anche informazioni scientifiche.
«Ho insegnato alle medie per quindici anni. Sono felice di essere uno scrittore per ragazzi, ma immagino che Verne si sarebbe offeso se fosse stato considerato tale. Io mi preparo lo “scheletro” delle informazioni vere e poi mi prendo qualche libertà con i dettagli rendendo il soggetto più divertente o più moderno. Ma i miei lettori dovrebbero essere in grado di superare qualsiasi esame basato sull’argomento di cui scrivo!».
Come possiamo fare coesistere, in ognuno di noi, il fascino della magia e della scienza?
«All’inizio de Il ladro di fulmini, Dioniso afferma che la scienza è solo un altro tipo di mito. Nel 1962, Arthur C. Clarke osservò che la scienza avanzata sarebbe stata indistinguibile dalla magia, dato che il nostro punto di vista e il nostro livello di conoscenza cambiano continuamente. Gli antichi romani permettevano a molti sistemi di credenze di esistere fianco a fianco. Perché non oggi?».
Chi è Nemo, e perché è così importante, oggi?
«Incarna le varie possibilità del potere umano, ma anche i nostri limiti e le nostre debolezze. In realtà, non è così diverso dagli dei greci. Mi piace il contrasto tra il suo genio e la sua voglia di vendetta contro gli inglesi per quello che hanno fatto in India, il suo Paese. Nel mio libro
ha una seconda possibilità di trasmettere le sue conoscenze ai suoi eredi. E Ana Dakkar, la protagonista, potrebbe essere un nuovo tipo di Capitano Nemo».
Parliamo di lei!
«Spero che piaccia ai miei lettori. È la mia prima protagonista femminile, e la sua eredità è basata sulla scienza, non sulla mitologia. Tuttavia, l’umorismo e l’azione sono gli stessi dei miei altri libri. Ana è speciale perché sa risolvere i problemi. È intelligente, tosta, più simile ad Annabeth Chase che a Percy Jackson. La sua vera abilità è portare i suoi amici a diventare una squadra».
Mia figlia mi dice sempre: peccato che tu e la mamma siate vivi, perché non avrò mai un’avventura come quelle dei libri.
«Sua figlia è saggia! I genitori sono di importanza fondamentale nel formare i figli, ma nella fantasia, i bambini hanno la possibilità di immaginarsi senza una rete di sicurezza. Vogliono sempre sapere: chi sono io? Chi posso essere? Una storia permette loro di esplorare chi potrebbero essere se fossero lasciati soli. Come l’oceano, questa idea è potente, attraente e spaventosa».
È preoccupato per i nostri mari?
«È difficile non esserlo. Gli oceani rappresentano più del 70 per cento della superficie del pianeta e la loro salute ci riguarda indipendentemente da dove viviamo. Gli esseri umani sono più bravi a reagire che a pianificare in anticipo. Ci servirebbero molti più Capitani Nemo».
Quali segreti ci sono negli abissi?
«Ho chiesto la stessa cosa a Robert Ballard, che ha scoperto il relitto del Titanic. Mi ha detto che era la domanda sbagliata. Se sapessimo quanti segreti ci sono nell’oceano, o persino cosa stiamo cercando, non avremmo bisogno di esplorare».
Cosa ne pensa dei classici?
«Possono risultare molto difficili e antiquati. Quanti adulti leggono Manzoni per divertimento? O Verne? O Dickens? Non molti. Penso che sia importante dare ai giovani lettori un accesso più appetibile a queste storie. È questo il mio lavoro di insegnante e di scrittore».
E dei film?
«I film e la televisione mi piacciono, e non è un segreto che ho detestato quelli di Percy Jackson. Ora io e mia moglie stiamo adattando la serie per Disney+ e abbiamo molto più controllo. Siamo produttori e io sono co-autore delle sceneggiature (e ho imparato molte cose). Sono ottimista sul fatto che produrremo una serie meravigliosa. Ho un’immaginazione visiva e vedo le scene nella mia testa, ma sono stato sorpreso nell’apprendere che non tutti pensano visivamente. Alcune persone hanno davvero bisogno di film o tv per “vedere” la storia».
Quanto è difficile descrivere il mare?
«Ci sono grandi scrittori e non pretendo di essere uno di loro. Posso solo sperare di dare ai giovani lettori un assaggio della sua potenza e mistero. Ho letto che pellegrini della Mayflower, a un certo punto della loro traversata, “si misero al vento”, ovvero ammainarono le vele e lasciarono la nave in balia delle onde. A volte, come scrittori, quando descriviamo il mare, dobbiamo fare come loro».
Come se la caverebbe con gli esami dell’Accademia che ha inventato?
«Ah! Mi piace imparare altre lingue come Ana Dakkar. Sto studiando l’italiano (le sue risposte sono nella nostra lingua, ndr). E conosco un po’ di irlandese, come Ana. Sono un subacqueo certificato. Ho fatto crociere nei Caraibi, nel Mediterraneo, nell’Artico e nell’Atlantico. Ma non sono bravo come i miei eroi. Ecco perché mi piace scrivere di loro».
A proposito di lingue, è vero che in lingua inglese le navi sono tutte «al femminile»?
«Questo è vero, anche se è un’antica tradizione usata soprattutto dai vecchi marinai e dagli storici. Dovrebbe derivare dall’idea di una dea madre che protegge la nave mentre è in mare, come la polena di Era sulla nave di Giasone, l’Argo. Oggi, purtroppo, la maggior parte degli anglofoni dice semplicemente it ,ma she è molto più poetico. E, personalmente, ho una passione per le dee».