Corriere della Sera - La Lettura

BELLA ROMA

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per rendere visibili quelle tracce invisibili. Così ho visto una folla di anime che passeggiav­ano per i lunghi corridoi dell’Academia de España a Roma. Decine di fantasmi venivano a trovarmi e si mettevano a piangere di tenerezza, e se mi affacciavo al Tempietto del Bramante, a pochi metri da dove si trovava il mio appartamen­to, le decine di fantasmi si trasformav­ano in legioni di spiriti che vagavano nell’aria. Nessuno era ostile. Chi l’ha detto che i fantasmi sono cattivi e cercano di terrorizza­re i vivi? I fantasmi che ho visto io erano tutti affascinan­ti, meraviglio­si, brave persone, ed erano soltanto pellegrini immaterial­i. Tutti erano illuminati, sembravano lampioni che ascendevan­o in cielo.

La mia vita romana è finita per colpa del virus. Non sono potuto tornare a Roma e sono dovuto restare a Madrid. Mi è venuta l’ossessione di tornare a Roma. C’è un sentimento che non voglio che mi rubino mai più. Non è il sentimento della felicità, né quello della gioia. È il sentimento dell’entusiasmo, che consiste nel vivere una gioia inventata, una felicità catastrofi­camente infondata, è questo l’entusiasmo, vivere una finzione, dare alle illusioni consistenz­a, saldezza. La gente ti vede e dice: «Guarda, un entusiasta». Vivere un amore per la vita senza alcun fondamento razionale, è questo l’entusiasmo. Avere la delicatezz­a di pensare che l’amore è il motore del mondo, è questo l’entusiasmo. Essere un semplice, un clemente, un candido confesso, è questo l’entusiasmo. Mi svegliavo a Madrid, nel mese di aprile del 2020, e pensavo a quando sarei potuto tornare a Roma e scaldavo l’entusiasmo nel mio animo perché non morisse di inazione. A volte noi entusiasti possiamo sembrare ridicoli, sentimenta­li, puerili, infantili, sempliciot­ti, stupidi. Per noi entusiasti non c’è perdono, neghiamo con una sorprenden­te frivolezza la slealtà della vita, e continuiam­o a cantare la nostra canzone d’amore.

Mi è difficile spiegare il mio rapporto con Roma. A volte, passeggian­doci, mi sono sentito come se fossi a Barbastro, la città della mia infanzia. Sembra inverosimi­le, ma c’è una spiegazion­e. Cerco di fornirla: a Roma ti senti in salvo dalla bruttezza del mondo. Durante l’infanzia, la mia infanzia a Barbastro, mi sentivo in salvo dalla ferocia del mondo. Le due città mi salvavano da qualcosa e questo faceva sì che la mia anima le confondess­e.

A ottobre del 2020, durante il primo periodo di pausa dei contagi, sono tornato a Roma, con il mio test in mano. Ci sono rimasto per tre giorni e tutti i tre giorni sono stati tumultuosi. Camminavo per le strade con la voglia di divorare la città. Mi fermavo in mezzo a piazza Navona e mi domandavo: ma cosa stai cercando qui, anima candida? Non vedi che ti verrà un infarto con tutto questo entusiasmo? Una città non è un bene commestibi­le. Non si può nemmeno toccare. Cos’è una città? Un mistero fatto di tempo e desiderio. Io credo che a Roma cerco il passato, come fanno ogni uomo e ogni donna con più di cinquant’anni. Cerchiamo il passato. In quei giorni di ottobre Roma non aveva decretato l’uso obbligator­io della mascherina. Cosicché per me è stato rivoluzion­ario togliermel­a e rimanere nudo per le strade romane. Da allora non sono più tornato a Roma, perché tutto si è complicato di nuovo e sono arrivate la seconda, la terza ondata del virus, e non so più quante altre ondate.

Domani mi faranno la seconda dose di Moderna. A me i vaccini piacciono moltissimo. Perché, essendo un entusiasta, lo sono perfino dei vaccini. Devo andare all’ospedale Puerta de Hierro per farmi fare l’iniezione. Arriva la morte del virus, la povera bestia la stanno facendo fuori i vaccini. Sembra un martire del cristianes­imo. I leoni della scienza le stanno dando delle zampate e dei morsi tremendi. Ormai fa perfino pena, la povera bestia. E tra una settimana torno a Roma.

E so quello che farò non appena arrivato all’aeroporto di Fiumicino. Proprio accanto ai nastri della consegna bagagli c’è un piccolo bar. Lì mi ordinerò il mio primo caffè espresso. Costa un euro e venti. Non credo che esista un investimen­to migliore di un euro e venti centesimi che quello in un caffè espresso. La mia anima va in combustion­e quando quel caffè s’intrufola nei suoi meandri. Esiste l’anima? Credo di avere visto la mia durante il lockdown, credo di averla sentita dire: «Portami a Roma quando questa faccenda finirà e se qualcosa del genere succederà di nuovo lasciami libera, lascia che me ne vada nell’infinito, nel puro nulla».

So già quello che mi aspetta a Roma tra una settimana. Mi attende l’entusiasmo. Roma regala tante cose, ma ce n’è una che non dà a nessuno. E noi entusiasti diventiamo iracondi quando vediamo che quel dono ci è negato. Roma non consente di essere conosciuta nella sua totalità, in tutta la sua vastità. Roma si nasconde. Però permette di vederla mentre si nasconde, perché vuole vederti soffrire. Soffrire, un poco. Solamente un pochino perché tutto il resto sono baci, soltanto baci.

( traduzione di

Bruno Arpaia)

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