Corriere della Sera - La Lettura
Però la contesa sul mito della libertà dura dal 1814
Sui valori fondanti del Paese non c’è mai stata un’autentica concordia
Fin dalle loro origini nell’Ottocento le nazioni euroamericane si sono costituite attorno al mito politico dell’unità, fosse esso basato su una storia, una stirpe, un territorio o una religione dichiarati comuni e propri di un certo popolo. Un mito politico necessario per pretendere identità e indipendenza, ma esistito nelle pratiche dei gruppi sociali dominanti più che nella realtà.
Gli Stati Uniti, tuttavia, non poterono fondarsi su questi marker perché erano quelli del regno da cui si separavano, la Gran Bretagna. Si costituirono, invece, a nazione attorno a un’idea guida dell’Illuminismo, la libertà come diritto universale dell’uomo inscritta nella Dichiarazione di indipendenza (1776). Un mito politico tanto rivoluzionario quanto elusivo il cui significato è mutato nelle mani dei tanti e contrastanti gruppi che, contrariamente al mito dell’unità, hanno formato e formano gli Stati Uniti.
La conseguenza è stata una situazione di crisi quasi costante. Nel 1814 si sfiorò la secessione quando, durante la Seconda
guerra angloamericana, gli stati settentrionali del New England, che ritenevano il conflitto fosse nell’interesse degli Stati agricoli del Sud e non nel loro che vivevano di pesca e commercio atlantici impediti dal conflitto, la minacciarono per spingere il presidente James Madison alla pace.
Si trattò della prima scintilla dello scontro fra Stati del Nord e del Sud che ha segnato l’intera storia statunitense e che era già implicito nella Costituzione del 1787, nella quale i sudisti pretesero garanzie, sia pure indirette, per la schiavitù e una sovrarappresentanza in Congresso per proteggersi da un Nord che si espandeva più rapidamente di loro.
Le ragioni profonde del conflitto si palesarono quando, dopo la vittoriosa guerra di aggressione contro il Messico del 1846-1848, il Sud chiese che buona parte degli immensi territori del Sud Ovest strappati ai messicani fossero aperti alla schiavitù, mentre il Nord li
riservare ai pionieri bianchi. Era una frattura che rispecchiava due opposti modelli difesi entrambi nel nome della libertà, per gli uni la libertà come diritto di tutti gli esseri umani, per gli altri quella di ogni Stato di seguire la volontà dei cittadini che nel Sud volevano la schiavitù dell’inferiore razza nera.
Un decennio di sempre più violenti scontri politici sezionali sfociò nella secessione e nella Guerra civile del 18611865 con i suoi 650 mila morti. Nonostante la disfatta militare sudista, la riconciliazione nazionale non si potè, tuttavia, raggiungere che dopo il 1876, quando il Nord permise al Sud di instaurare la segregazione in cambio dell’appoggio a una politica di rapida industrializzazione del Paese guidata dal Nord. Il che mostra che la supremazia bianca era intrinseca al mito politico della libertà, un fatto caduto per tre quarti di secolo nell’oblio perché tutti i bianchi, immigrati compresi, lo nascosero dietro ai trionfi economici e politici del Paese.
Il problema si ripropose nel secondo dopoguerra, reso più complesso da altre linee di faglia sorte a partire dalla travolgente, pur se breve, cavalcata del movimento populista agrario di fine Ottocento soprattutto negli Stati del Far West e del Sud, un movimento dalle tinte sia anticapitaliste che evangeliche e nemiche della società industriale e urbana che andava nascendo. Sconfitto alle presidenziali del 1896 il People’s Party sopravvisse come cultura politica dell’America profonda e funse da levatrice della frattura fra gli Stati agricoli tradizionalisti del Sud e dell’interno e i sempre più moderni Stati costieri e del Midwest; una frattura che sconvolse il Paese con le battaglie sudiste contro la legislazione per i diritti civili e politici dei neri.
Ma negli anni Sessanta la lotta per i diritti degli afroamericani, per quanto essenziale, non era più una lotta di punta perché l’intera costruzione valoriale e sociale che aveva consentito agli Stati Uniti di diventare egemoni nel mondo occidentale e di raggiungere un indiscusso primato economico e scientifico era messa in crisi dai nuovi progetti di vita iniziati nel decennio precedente. L’idea di libertà dominante negli anni fra i Trenta e i Cinquanta, infatti, veniva negata dai valori avanzati da afroamericani, giovani bianchi, donne, gay per asserire identità personali e di gruppo culturalmente rivoluzionarie.
È qui che troviamo le origini della frattura che vede oggi non solo lo scontro fra sezioni diverse del Paese e quello fra America profonda e America delle metropoli; ma anche la fenditura che contrappone culturalmente e socialmente Americhe fra loro avverse, mettendo per molti a rischio l’unità nazionale. Il sempre mutevole mito politico della libertà pare preda di una tempesta sorta sessant’anni fa che si è dimostrata ingovernabile e che potrebbe preludere a fratture insanabili e alla decadenza americana ed è un forte ostacolo alla comprensione del ruolo del Paese e del significato che quel mito può assumere nel nuovo secolo.