Corriere della Sera - La Lettura
Un pony insegna: nessuno venda le favole dei figli
L’apologo del Nobel islandese sul tramonto della meraviglia e del fantastico
Il paradiso ritrovato di Halldór Laxness racconta di un destriero magico, venuto al mondo in un giorno di bufera, nato per partenogenesi da una giumenta senza latte, nutrito a fiori di burro, a fondi di zangola, sensibile all’alito dei ghiacciai, che ne scatenavano la corsa leggera e selvaggia, quanto alla carezza dei bambini, cui porgeva docile il muso vellutato come la guancia di una vergine. Racconta di un bosco nano, non più alto della statura di un uomo piccolo misurato con il braccio sollevato, dove tutto ciò che cresceva oltre quel limite gelava e cadeva all’istante e dove gli alberelli in miniatura si inchinavano alla legge del vento. Racconta di uno scrigno pregiato, costruito con il legno più nobile di un vascello buttato a riva, lucidissimo, come fosse stato a lungo levigato a mano, liscio come cera, meraviglioso alla vista e al tatto, richiuso da una serratura tanto complicata che la sua combinazione si poteva mandare a memoria solo in versi e soprattutto creato per custodire nel suo doppio fondo, nei suoi cassetti segreti, quei beni più preziosi di oro e gemme che nemmeno i sovrani del mondo sapevano valutare. Racconta di Steinar, «quello delle pietre», come avverte il suo nome, battezzato così dal padre perché nato nel giorno della frana su quelle terre che avrebbe ereditato e di cui, raccogliendo sassi, costruendo muretti a secco a segnare i confini dei pascoli, ripulendo per bene i prati liberati dai ciottoli che sarebbero stati sistemati con cura a riempire fessure e a spianare asperità di cinte e pareti, avrebbe mantenuto l’aspetto lindo e ordinato di una contrada da favola.
Il fiabesco nutre la scrittura del premio Nobel islandese Laxness (1902-1998) tanto da costituirne la sostanza più caratterizzante. Supportato per giunta da un’ambientazione, i paesaggi dell’isola vulcanica del grande Nord, già magica di suo e da un amore per le espressioni e il lessico arcaizzante dei cantastorie e delle saghe. Il paradiso ritrovato però, come gli altri grandi capolavori dello scrittore nordico — Gente indipendente, La campana d’Islanda, Sotto il ghiacciaio, tutti pubblicati da Iperborea — è un romanzo, un romanzo moderno che, scritto tra il 1959 e il 1960, situa la vicenda narrata agli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento o, secondo parametri di tempo che sono iperbolici e meravigliosi, a un millennio dalla colonizzazione di Islanda.
Su questo crinale che divide la memoria eroica, incantata, dal tempo della storia e del disincanto si gioca la vicenda de Il paradiso ritrovato, l’avventura di Steinar e della sua famiglia, negli anni cioè in cui, come ben spiega il curatore del volume, Alessandro Storti, brillante postfatore e traduttore (da leggere e rileggere la sua traduzione in rima dell’Ode apriscrigno), la civiltà contadina, rappresentata dal protagonista del romanzo, cede il passo a quella industriale. È «l’epoca della dissoluzione dell’economia agricola islandese con la conseguente ondata di emigrazione verso il Nord America».
Senza impegnarsi in una disamina socioeconomica di quel capitolo della storia d’Islanda, ciò che Laxness racconta è la fine della fiaba. Della quale conserva però la meraviglia. Se il cavallino magico è tale solo agli occhi dei suoi bambini, nulla impedisce al villico di rinunciare, malgrado la fame, a venderlo («mai vendere la favola dei propri figli») salvo donarlo più in là, poco prima che i pargoli crescessero e la meraviglia svanisse, al re in persona, destinandogli così davvero la sorte di una creatura soprannaturale. E pazienza se a corte il pony ingrasserà, da Nevischio che era sarà ribattezzato Pussy, e gli toccherà trainare su un carretto i viziati principini. Stessa fine farà lo scrigno misterioso, di cui, snobbata l’ode, nessun reale mai riuscirà a dischiudere i tesori. E così sarà per i sogni, gli amori, gli ideali (mai però «illusioni») dei ragazzi e della moglie di Steinar. Chi ha compiuto un viaggio come il loro, anche se il percorso li conduce dall’incantesimo, attraverso la commedia comica — sottolineata dall’eterna «risatina cinquettante» di Steinar — fino alla tragedia «lo rivive in sogno per sempre — sentenzia efficace Laxness — con un muto vuoto di nostalgia».