Corriere della Sera - La Lettura

IN VOLO VERSO CASA

- Di CLARE MACKINTOSH

aereo è pieno. C’era un’aria di trepidazio­ne quando siamo decollati, la cabina si è subito riempita di chiacchier­icci e brusii vari, ma ora siamo a 18 ore dall’inizio del volo e tutto sembra più tranquillo. La maggior parte delle persone dorme o cerca di dormire. Alcuni stanno leggendo o guardando film, con i volti illuminati dai piccoli schermi tv davanti a loro. Gli assistenti di volo si muovono silenziosa­mente attraverso la cabina, raccoglien­do bicchieri vuoti e distribuen­do coperte.

La nostra assistente si chiama Mina. Sorride mentre passa, ma il suo viso è preoccupat­o e so che pensa che siamo strani. Non mi sorprende. La maggior parte delle famiglie intorno a noi non ha smesso di parlare, eccitate come sono da una vacanza in Australia o dal ritrovare qualche familiare lontano, ma noi non ci siamo scambiati una parola da quando siamo saliti a bordo.

Lisa ha posizionat­o subito la sua roba sul sedile vicino al finestrino, mantenendo lo sguardo fuori mentre io ho continuato a sfogliare le mie riviste. Il suo prossimo compleanno sarà quello dei trent’anni, ma ho ancora impressa la sua adolescenz­a, quando all’ora di cena era tutta risposte a monosillab­i e sbuffi di disperazio­ne. Mi sono seduta sul sedile che dà sul corridoio — mi piace avere un po’ più di spazio per le gambe — e Jack resta in silenzio in mezzo a noi. C’è mai stata una famiglia più disfunzion­ale di così?

«Chiamala e basta», disse Jack, quando era ormai passato un anno intero.

«Per dirle cosa? ». Lisa aveva chiarito che non voleva parlare con me.

Jack mi guardò con un misto di frustrazio­ne e pietà. «Che ne dici di mi dispiace? »

Me ne andai a lavare i piatti. Non è certo un mistero dove nostra figlia ha preso la sua testardagg­ine.

Un lampo di luce brilla sul libro di Lisa, ma la pagina non viene girata da venti minuti o più. Mi chiedo cosa stia pensando. Sono passati cinque anni da quando ci siamo parlati l’ultima volta. Jack continuò ancora a vederla e, per un po’, cercò di convincerm­i a fare lo stesso. «Devi farci pace», diceva.

Non mi ha mai giudicato per quello che avevo detto a Lisa. Non ne aveva bisogno: sapevo io stessa di aver sbagliato.

Lisa era incinta — le conseguenz­e di una notte d’ebbrezza con un uomo che non aveva certo intenzione di rivedere — e io avevo cercato di prendere la cosa con diplomazia. Lei aveva solo 25 anni, viveva in un appartamen­to condiviso, la sua carriera lavorativa era appena iniziata, e quando ha abortito poche settimane dopo l’inizio della gravidanza, sembrava...

«Forse è meglio così». Intendevo dirlo come se potesse suonare confortant­e. Una di quelle cose che dici così

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