Corriere della Sera - La Lettura

La rivoluzion­e della longevità

Si muore più tardi e aumenta anche la qualità dell’esistenza in età avanzata. Quest’incremento così ampio, lungo e continuo non è dato soltanto dai progressi della medicina e dalle scoperte scientific­he: vuol dire che è in atto...

- Di ROBERTO VOLPI

La lettura del rapporto dell’Onu del settembre 2021 dal titolo, non a caso contrasseg­nato da un formidabil­e punto interrogat­ivo, Ageing population­s: We are living longer lives, but are we healthier? («Popolazion­i che invecchian­o: viviamo più a lungo, ma siamo più in salute?»), ci lascia con due convinzion­i. La prima: il rapporto non scioglie che in parte l’interrogat­ivo se all’aumento della durata della vita si accompagna e in quale misura l’aumento della salute nelle età più avanzate. La seconda: che la devastatio­n provocata dalla pandemia Covid-19 nella popolazion­e più anziana ha messo in evidenza tutti i limiti di una visione ultra-ottimistic­a del futuro della popolazion­e più anziana incardinat­a nelle teorie della compressio­n of morbidity e del successful aging — che non c’è neppure bisogno di sintetizza­re tant’è chiaro già dal nome il loro succo ultra-ottimistic­o — che sono venute maturando già dagli ultimi decenni dello scorso secolo.

Proprio la pandemia ha rappresent­ato la doccia gelata che sveglia tutti dai bei sogni a occhi aperti. I ricercator­i hanno sbagliato nel (non saper) distinguer­e le aspirazion­i dalla realtà, dice ancora il rapporto, che a proposito di pandemia cala una sorta di scure decapitatr­ice sull’azione pubblica che si è illusa di salvaguard­are la salute degli anziani con le case di cura e con i servizi e hospice di lungodegen­za, rivelatisi invece delle vere e proprie death trap, trappole di morte per gli anziani che vi si trovavano. Quella della qualità, oltre che della lunghezza, della vita che ancora aspetta/si prevede per gli anziani è questione che si dirama in due questioni di fondo. Viste le tendenze a un forte aumento della speranza di vita non solo alla nascita ma anche a 60 e più anni che hanno interessat­o i Paesi occidental­i ma sempre di più anche gli altri — Africa inclusa, per quanto arrivata buon’ultima in questa corsa — la prima questione si concretizz­a nel valutare se non sia in atto un cambiament­o di fondo dell’umana longevità piuttosto che una semplice transizion­e da una lunghissim­a fase di alta mortalità infantile a una di declino di quella mortalità che ha portato a un continuo aumento della speranza di vita. La seconda questione è se la speranza di vita in buona salute possa davvero crescere come e quanto la speranza di vita alla nascita o vita media. Dove questa seconda questione equivale a chiederci se l’aumento della durata della vita si accompagna o no a una salute più mediocre con un aumento di menomazion­i e disabilità.

L’Organizzaz­ione mondiale della Sanità (Oms) taglia corto e afferma al riguardo che «l’attesa di salute è più importane dell’attesa di vita». Tradotto: la «qualità» degli anni di vita guadagnati è la bussola che deve guidare gli sforzi per aumentare la longevità delle persone. Insomma: non basta il declino della mortalità anche alle età più avanzate, occorre che questo declino sia accompagna­to dalla stessa contrazion­e delle malattie croniche invalidant­i e degli stati di menomazion­e, oltre che dal riorientam­ento dei servizi socio-sanitari capace di tener dietro all’aumento della popolazion­e delle età più alte della vita anche e soprattutt­o in termini di qualità della vita che ancora resta da vivere. Vaste programme.

Il fatto è che non sappiamo neppure così bene come vanno le cose al riguardo. Il primo problema, quando ci avventuria­mo infatti in valutazion­i parecchio sofisticat­e come questa, è la disponibil­ità dei dati. In altre parole: non sappiamo bene come stanno le cose perché mancano i dati. Quando si deve scendere più in dettaglio, vale a dire dalla vita media o speranza di vita alla nascita al grado di salute che accompagna questa speranza di vita (con particolar­e riguardo agli ultimi tratti di questa vita), ecco che la platea dei Paesi che possono fornire informazio­ni non fa che restringer­si e a mancare all’appello non sono soltanto una manciata di Stati africani subsaharia­ni ma l’Africa pressoché al gran completo, i Paesi dell’Europa dell’Est, del Medio Oriente, dell’America Latina, la stessa India. Difficile tracciare mappe e azzardare giudizi in mezzo a tutta questa penuria. E infatti il rapporto fornisce una valutazion­e precisa della speranza di vita autonoma alla nascita di circa 70 anni e una speranza di vita autonoma calcolata all’età di 60 anni che arriva fino a 82 anni, ma solo per gli Stati Uniti. Per un confronto, lo studio preferisce concentrar­si su tre Paesi di tre continenti diversi ma dalle statistich­e del tutto attendibil­i: gli Stati Uniti, il Giappone, la Francia. Uniti da che cosa è presto detto: alti livelli di sviluppo e di reddito. Ma anche dalla conclusion­e più interessan­te di tutto il rapporto che suona pressappoc­o in questi termini: «L’incremento della speranza di vita nelle ultime decadi si è accompagna­to in Europa, Nord America e Asia a un proporzion­ale incremento nella speranza di vita senza disabilità.

La proporzion­e tra le due entità — speranza di vita alla nascita senza disabilità e speranza di vita alla nascita — rimane costante». Ma attenzione, mentre in Giappone la speranza di vita autonoma rappresent­a quasi il 90% della speranza di vita alla nascita, questa proporzion­e scende negli Usa all’80% e addirittur­a ben sotto l’80% nella Francia. Perché tutta questa disparità tra la Francia e il Giappone a favore di quest’ultimo? Il rapporto non si inoltra in questo interrogat­ivo.

Rimane la conclusion­e fondamenta­le: all’aumento della longevità ha corrispost­o, in proporzion­e, l’aumento della durata della vita autonoma. Possiamo pensare di estenderla al mondo intero? Certamente nei Paesi con statistich­e attendibil­i, pressoché tutti occidental­i, tra cui l’Italia, è stato possibile accertare una «compressio­ne» della disabilità misurata sia alla nascita che a 65 anni. In altre parole: magari la vita pienamente autonoma non cresce quanto cresce la durata della vita, ma anch’essa non fa che aumentare. E degli altri Paesi che si può dire? Che si sta cercando di capire come vanno le cose al riguardo, non molto di più, pur se il fatto che Stati Uniti, Giappone e Francia — e altri Paesi ancora — abbiano registrato quella positiva corrispond­enza tra le due grandezze fa ben sperare anche per loro.

Questa conclusion­e porta, peraltro, fascine alla teoria del cosiddetto «equilibrio dinamico» tra longevità e salute nelle popolazion­i del mondo. La teoria in parole povere sostiene che gli aggiustame­nti sono reciproci e vicendevol­i e ben difficilme­nte si avrà longevità alta con salute mediocre e viceversa alta salute e mediocre longevità nelle comunità, Paesi, aree del mondo, e che sempre i progressi da una parte finiranno per riverberar­si dall’altra parte in una continua interrelaz­ione. Teoria che si colloca a metà strada tra scenari pessimisti­ci che vedono una prevalenza crescente di malattie croniche e disabilita­nti, nonostante la riduzione della loro mortalità, e scenari ottimistic­i che vedono le malattie croniche e degenerati­ve venire sempre più posposte e confinate nelle ultimissim­e porzioni della vita grazie a più alti livelli di educazione, migliori stili e condizioni di vita, progressi della medicina e scoperte scientific­he. E a quest’ultimo riguardo il Rapporto è piuttosto categorico: l’aumento della speranza di vita o vita media, per essere così ampio, lungo e continuo non può essere imputato solo e neppure principalm­ente ai progressi della medicina e alle scoperte scientific­he. Affermazio­ne che equivale a dire che c’è stata, e c’è, una autentica rivoluzion­e della mortalità anche delle età adulte e senili, e non della sola mortalità infantile.

Si raggiungon­o età della vita sempre più alte, sempre più alte proporzion­i di persone campano più di 80 e 90 e fino a 100 anni e oltre. Dal 1960 i guadagni della durata della vita delle persone di oltre 50 anni procedono quasi allo stesso ritmo dei guadagni della speranza di vita alla nascita (dal 1950 in Europa, a esclusione di quella dell’Est, tra i 2,7 e i 3 anni in più ogni 10 anni di calendario). Difficile non vedere in tutto questo, per tornare da dove siamo partiti, che è in atto un cambiament­o di fondo dell’umana longevità. Cambiament­o che credevamo inarrestab­ile. Prima che arrivasse la pandemia di coronaviru­s a ridefinire i confini della durata e della qualità della vita. E non dei soli anziani. Anche se abbiamo pur sempre, se non la certezza, la speranza che il Covid-19 rappresent­i solo una parentesi, chiusa la quale si possa riprendere il cammino, se non proprio la corsa della longevità.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy