Corriere della Sera - La Lettura

Genitori e figli: chi salva chi? Mistero

- Di ANTONELLA LATTANZI

ha un nodo che si ripresenta nella sua opera narrativa: il rapporto tra adulti e bambini, che è poi il tema dell’ingiustizi­a e dell’inconoscib­ilità tra le persone. Nel nuovo romanzo emerge dall’universo dei social

C’è un nodo, nella scrittura di Delphine de Vigan, che non si scioglie mai. Ha a che fare con il rapporto tra adulti e bambini, e non solo: più profondame­nte ha a che fare con chi sovrasta e chi è sovrastato. Con l’ingiustizi­a, l’inconoscib­ilità tra le persone, il nero che serpeggia sempre, dentro ognuno di noi, e che spesso viene dal passato. Ha a che fare, in due parole, con l’amore e con la rabbia.

In Una storia vera, che Roman Polanski ha portato al cinema, de Vigan raccontava il vuoto, la solitudine, la paura, la dipendenza più che il rapporto di una scrittrice famosa con il successo. Nei suoi due libri più autobiogra­fici, Giorni senza fame e Niente si oppone alla notte, esplorava una sorta di maledetto dolore familiare, come scritto nei geni: la propria anoressia nel primo, il suicidio della madre nel secondo.

C’è un nodo nella scrittura di de Vigan che — per nostra fortuna — non si scioglie mai: e spesso sta dentro le famiglie. In Tutto per i bambini incontriam­o due donne opposte. Mèlanie, che ha sempre avuto un sogno: diventare famosa. Figlia di una famiglia che passa il suo tempo davanti alla television­e e lì concentra tutti i sogni, Mèlanie ha trovato un unico modo per coronare il suo: partecipar­e a un reality. Sono i primi Duemila, e i reality esplodono inondando non solo lo schermo, ma anche le vite di chi, a casa, passa la vita a guardare la vita degli altri. Mèlanie prova a partecipar­e a una trasmissio­ne, perde la sua occasione, si maledice.

Più o meno negli stessi anni Clara vive tutt’altra vita. I suoi genitori sono impegnati nella diffusione della cultura, nelle manifestaz­ioni, nella difesa delle ideologie. La tv è il male. La società dei consumi è il male. Clara decide di entrare in polizia, forse per attestare la propria individual­ità, forse per trovare un senso alla propria vita. Per non pensare ai figli che non avrà, agli amori che non vorrà o non riuscirà a conservare, alla solitudine che è lì, sempre in agguato, negli angoli bui di ogni casa, negli angoli bui di ogni vita.

Due donne, Mèlanie e Clara, che non si incontrere­bbero mai. Se un giorno del 2019 la figlia di sei anni di Mèlanie, Kim, non sparisse dal cortile di casa mentre sta giocando a nascondino. Clara fa parte della squadra che indaga sulla scomparsa. Non vede soltanto una madre disfatta dalla paura e dal dolore. Vede anche una bambina — anzi due bambini, i figli di Mèlanie, Sam, otto anni, e Kim — sottoposti 24 ore su 24 a un reality che non hanno scelto e non finisce mai: i social, e un canale YouTube, Happy Récré, in cui Mèlanie filma, impacchett­a e spacchetta di continuo la vita dei suoi figli. Una specie di Bellissima — capolavoro di Luchino Visconti con Anna Magnani e Walter Chiari — di oggi.

C’è qualcosa che Clara nota, guardando e riguardand­o dall’inizio le centinaia di video di Happy Récré (che conta ormai milioni di visualizza­zioni al giorno).

Mentre Sam, bravo soldatino che farebbe qualsiasi cosa per rendere felice la madre, sorride sempre, la piccola Kim, sotto i riflettori da quando aveva due anni e mezzo, comincia a sfuggire la telecamera, a incupirsi: a non poterne più. Eppure Mèlanie non sembra vederlo. Non può vederlo: tutta la sua vita ruota intorno ai like, ai cuori, ai commenti della gente. Della sua gente: è così che pensa lei. La scomparsa di Kim c’entra con questa morbosa notorietà? L’hanno rapita per un riscatto? L’ha rapita un pedofilo? L’ha rapita qualcuno che rivendica Kim come sua proprietà?

Come nei migliori polar, il giallo, seppur ben costruito, è una scusa. Il punto di Tutto per i bambini — il punto, forse, di Delphine de Vigan — è il rapporto tra figli e genitori, tra adulti e bambini. Il punto di Tutto per i bambini, tralascian­do il resto (la sovraespos­izione dei bambini ai social, prima di tutto, per raccontare la quale de Vigan si è lungamente e profondame­nte documentat­a), è il rapporto tra questi due bambini, Kimmy e Sammy, con la madre. Ed è qui che de Vigan affonda di nuovo nel nodo di tutta la sua scrittura. Si può fare violenza con un sorriso, si può sacrificar­e la propria vita a qualcuno, per amore, fino a perdere sé stessi e non poterne più. Le madri e i figli sono invenzioni meraviglio­se, ma anche pericolosi­ssime. Che fine fa un figlio, una figlia, quando una madre non sta bene? Perché l’ossessione di Mèlanie per il successo e la visibilità è da subito spia di una depression­e, di una mancanza di senso, di una distorsion­e della realtà.

I figli vedono sempre dentro l’anima dei genitori, anche quando sono piccolissi­mi. Kimmy e Sammy vedono la loro madre molto meglio del loro padre, molto meglio di chiunque altro. E allora cosa fare per rendere felice tua madre? Ci sono figli che si immolano, e rischiano di perdersi. Ci sono figli che si ribellano, e rischiano anche loro di smarrirsi. «Ho paura per i bambini», dice un personaggi­o del romanzo. E allora come ci si salva? In un abbraccio, forse, lontano dagli obiettivi degli smartphone. E lontano, pure, dagli occhi di tuo padre, di tua madre.

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