Corriere della Sera - La Lettura
Il mio nome è Vitti, madame Vitti
Il romanzo avventuroso e documentatissimo di una donna e della sua vasta famiglia che emigrò dalla Ciociaria alla fine dell’Ottocento per arrivare a Parigi. Qui fondò un’accademia aperta solo alle artiste e frequentata da illustri insegnanti
La Ciociaria, per secoli terra di modelle e modelli, donne e uomini bellissimi, non di rado poveri e analfabeti, alcuni diventati artisti, altri celebri animatori di scuole e atelier, soprattutto nella leggendaria Parigi tra XIX e XX secolo.
Ed è questo l’universo — un caleidoscopico crocevia di immigrazione, pensieri, passioni, amori, bohème, pittori, scultori, poeti, prostituzione, avventurieri e osti, tutto sullo sfondo della Ville Lumière — in cui è ambientato Madame Vitti, libro in uscita il 31 marzo per Sellerio e scritto a quattro mani da Marco Consentino e Domenico Dodaro. Un romanzo di cinquecento pagine in cui la finzione narrativa — presente in particolare nei dialoghi e nella ricostruzione degli ambienti — si alimenta di una storia vera, verissima, che forse del romanzesco aveva bisogno per fuoriuscire dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori approdando a un più ampio pubblico.
La storia è quella di Maria Caira, di suo marito Cesare Vitti, delle sue due sorelle, Anna e Giacinta, del fratello, Antonio, e di una cugina, Carmela. Partiti alla fine dell’Ottocento da Atina, paese del basso Lazio in quella che all’epoca si chiamava ancora Terra di lavoro (oggi provincia di Frosinone), destinazione Parigi. Un avventuroso viaggio, a piedi, sognando un futuro migliore. Maria all’epoca del suo arrivo in Francia ha solo 15 anni, e inizia subito a posare per gli artisti. Lo stesso fanno Cesare, Antonio e le altre ragazzebambine. Maria però ha un carattere volitivo, intraprendente, e quel ruolo di musa dalle fattezze perfette a uso di cavalletti e scalpelli le andrà presto stretto.
Nel 1889, due anni dopo l’arrivo in Francia, fonderà infatti — lei, benché costretta dalle regole a intestarla al marito, scultore dilettante oltre che modello — una scuola per sole artiste. Un luogo doBateau-Lavoir ve, caso unico anche nell’avanzata capitale mondiale delle arti, le donne potevano disegnare copiando modelli virili nudi, cosa vietata nelle Accademie pubbliche del tempo.
La scuola di Madame Vitti aprirà ai maschi solo nel 1900. E l’indirizzo è di quelli destinati a entrare nella leggenda, al 49 di Boulevard Montparnasse, cuore di un quartiere che di lì a poco, soppiantando Montmartre, diverrà simbolo ed epicentro dell’arte mondiale. Un luogomito, Montparnasse, al centro di mille quadri, avventure, rievocazioni, diari, libri, film... In venticinque anni di vita (l’Académie Vitti chiuderà nel 1914 allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando la famiglia Caira deciderà di rientrare nella terra d’origine) la scuola diverrà un punto di riferimento per il colorito mondo dell’arte, non solo parigina.
Per un periodo ci insegnò perfino Paul Gauguin, che in una lettera del 1894 si firma artiste peintre et professeur de l’Académie Vitti. Altri docenti furono Kees van Dongen, protagonista nelle pagine del romanzo anche di un focoso rapporto sessuale con Maria, e il celebre ritrattista di Marcel Proust, Jacques-Émile Blanche. E tante, tantissime, furono le studentesse arrivate soprattutto dall’America, ragazze di cultura per lo più protestante e di più aperte vedute.
A disseppellire dalla polvere del tempo perduto quest’epopea bohémienne era stato per primo, nel 2013, Cesare Erario, discendente della famiglia Caira-Vitti. Il quale tra le cose di famiglia, in parte celate da un’intercapedine, aveva rintracciato quadri, disegni, foto, lettere, cartoline, mobilia e altre tranche di vita da atelier. Di lì a poco nacque la Casa Museo Vitti, ad Atina, nella stessa abitazione dove les italiens de Paris erano tornati a vivere fin dal 1914 e dove vissero fino alla morte.
Due anni dopo, nel 2015, Erario ed Eugenio Beranger diedero alle stampe Académie Vitti, 49 Boulevard Montparnasse, Paris. La storia e i protagonisti 18891914, libro in cui si ricostruiva, esclusivamente su base documentaria, la storia dell’Académie e quella dei suoi frequentatori. Un volume che è stato tra le principali fonti per le pagine di Consentino e Dodaro, esperto di relazioni istituzionali il primo, avvocato l’altro, già autori del romanzo I fantasmi dell’Impero.
«I fatti che raccontiamo appartengono, con trascurabili eccezioni, al vero — spiegano — le date, i luoghi, le coincidenze sono stati verificati, rispetto a ciascuno dei personaggi, su epistolari, biografie, diari, documenti di archivio e grazie a testimonianze trasmesse oralmente. Tuttavia, per quanto ispirato a persone realmente vissute e collocato in un contesto ricostruito con volontà di precisione storica, questo resta un romanzo». E un romanzo in cui, chi più chi meno, rivivono tanti protagonisti grandi e piccoli che a vario titolo incrociarono i destini dell’allegra brigata Caira.
C’è addirittura Stéphane Mallarmé (uno dei cedimenti alla fantasia che gli autori si sono concessi), presentato alle sorelle da James Abbott McNeill Whistler, pittore per il quale posò ripetutamente Carmela. C’è Rainer Maria Rilke, con la rocambolesca storia di una specchiera sopravvissuta fino a oggi. C’è Sylvia Beach, ancora bambina, futura fondatrice della storica libreria Shakespeare and Company, prima editrice dell’Ulisse di Joyce e figura-chiave nella Parigi-mito degli anni Venti. Suo padre, pastore protestante, nei fine settimana affittava i locali dei Vitti per le prediche, e Sylvia posò anche come modella per Cesare. E c’è Picasso, di sfuggita, che dal suo studio al indirizzò il giovane e sfortunato pittore Carlos Valenti Perrillat, morto suicida a 24 anni, sui banchi della scuola di Maria a imparare il mestiere. C’è, né poteva mancare, uno dei grandi scultori americani tra i due secoli, il Frederick William MacMonnies che immortalerà la Caira nei panni di Diana, bronzo in varie versioni oggi in molti musei.
Tra i personaggi evocati nel romanzo, sodale delle sorelle, anche un’altra italiana che seppe conquistare Parigi. Una figura a lungo dimenticata ma da tempo oggetto di un recupero storico-critico. Si chiamava Juana Romani, all’anagrafe Carolina Carlesimo, pittrice e modella che morirà nel manicomio di Ivry-sur-Seine, affetta da una sindrome dissociativa. Anche Juana, figlia di un brigante e abbandonata dal padre, era partita bambina da Velletri, direzione Parigi. Artista acclamata nei Salon, dipinse quasi solo quadri di donne forti, figure bibliche o della Storia, a volte prestando le sue stesse sembianze, a volte usando come modella Anna Caira, detta Annette, come nel quadro La figlia di Teodora, la cui asta da Christie’s, nel 2012, è la chiusa del romanzo.
Annette fu l’unica Caira che non tornerà a vivere in Ciociaria, scegliendo Firenze come dimora. Morì giovane. Fu legata al nobile francese Henri des Pruraux, collezionista di Gauguin, collaboratore della rivista «Lacerba» e amico di Soffici, Prezzolini, Papini. Proprio un articolo di Papini del 1948, in cui lo scrittore rievocava i tempi andati e la bellezza di una tal Madame de Pruraux, susciterà la risposta commossa di Maria, ormai anziana e dimenticata. Che il 3 marzo 1949, tre mesi prima di morire, prese carta e penna per scrivere una struggente lettera dove ripercorreva, prima volta dopo decenni, i suoi années folles: «Caro Maestro, sono la sorella di M.me des Pruraux...».