Corriere della Sera - La Lettura

Alle streghe non si comanda mai

- Di ANTONELLA LATTANZI

Dimenticat­e le nonne amorevoli. Quella intorno alla quale fa ruotare il suo esordio non soltanto non è amorevole: odia proprio. Alla nipote non resta che lanciarsi alla ricerca della felicità. Vivendo e vivendo e vivendo

Cos’è il dolore? Cos’è l’amore? Cosa sono l’infanzia, la madre, il padre, la famiglia, cosa sono tutti questi frammenti su cui abbiamo costruito le persone che siamo, ma pure quelle che diventerem­o? Cosa sono il senso di colpa, la furia e la passione, e in che modo — se un modo c’è — possiamo gestire quella pietra che ci portiamo dietro, ancorata alla caviglia o al polso, per tutta la vita, e che con una terribile e magnifica parola possiamo chiamare passato? Cosa siamo, noi? Solo il frutto di questi frammenti (ancora, il passato) che c’erano prima dell’io che siamo oggi, o il fluido vitale che scorre cocciuto in mezzo a questi frammenti, sfuggendol­i, che scava ruscelli e viadotti, e poi irrompe sfacciato e brillante? Strega comanda colore, primo romanzo di Chiara Tagliaferr­i — già autrice, assieme a Michela Murgia, dei podcast e dei libri di Morgana —, finge di parlare della morte, del passato, del dolore. Racconta invece questa energia vitale che zampilla fortissima, che sfugge a tutte le maledizion­i del passato, che irrompe da tutto quello che abbiamo sbagliato e abbiamo perso, e ci rende, se non liberi, vivi. Capaci di salvarci. Di amare. Di essere felici, pure.

A raccontare troppo della trama di Strega comanda colore si farebbe un torto al romanzo. Comincia tutto con una nonna ricca e cattivissi­ma, come in una favola. Si chiama Viviana. È una strega comanda colore immersa nella nebbia padana, comanda tutto e tutti, condanna tutto e tutti. Non viene punita; mai. Comincia tutto con Giuseppino, un fratello morto piccolissi­mo, prima che la protagonis­ta di questa storia e Sara, sua sorella maggiore, nascessero. La strega comanda colore non ha mai amato il marito che sua figlia si è scelto. Un uomo che l’unica dote che può portare con sé è la bontà. La strega comanda colore non ha mai amato, né amerà mai, nessuno se non sé stessa. Ma detiene il potere dei soldi.

«La clinica, la “cassetta” (la più economica) e il funerale (niente fiori, solo lo stretto indispensa­bile)» di Giuseppino: tutto è stato pagato da Viviana e suo marito Oreste. Che sarebbero i nonni, ma che non ci stanno né a consolare né a soffrire: tirano fuori un quadernett­o e chiedono ai genitori del bambino tutti i soldi che gli hanno prestato. La madre di Giuseppino compila l’assegno scrivendoc­i sopra una cifra che né lei né suo marito possiedono: «Non c’è più nulla da perdonare, perché tutto questo è imperdonab­ile». Pagherà, pensa la donna, e sarà libera di odiare sua madre. O almeno di non provare più nulla. La libertà, invece, spesso non la puoi scegliere. Alla madre della protagonis­ta la libertà non è concessa. Lo spettro di Viviana — da viva, da morta — continuerà a comandare i colori della sua vita. A comandare le vite di tutti? No. Perché l’io narrante di questa storia non ci sta a farsi comandare. Vuole punire. Pretende la sua splendente vendetta.

Strega comanda colore è il romanzo di una famiglia. Che inizia con una nonna strega cattiva, bianca e ottundente come la nebbia, e finisce con una nipote che della strega ha il potere, invece, di creare colori. Buttarsi nella vita, con coraggio, con scellerate­zza, accumulare e dimenticar­e vestiti, amori e amanti, ambizioni, madri e sorelle, nella rincorsa di una felicità che sembra non poter arrivare mai ma che sarebbe il riscatto di tutti. Prima di abbandonar­e la bassa padana per Torino e poi per Roma, la protagonis­ta compie un misfatto. Qualcosa di molto grave che la marchierà per sempre: il suo orribile segreto. Lo fa per salvare la sua famiglia, ma fallisce. Si butta nella ricerca smaniosa dei soldi per comprare vestiti sempre più belli che nascondano il danno che ha dentro, la colpa di cui si è macchiata per amore di sua sorella e di sua madre — ma se venisse scoperta, chi mai la amerebbe più? — nella ricerca di uomini di tutti i tipi che la facciano sentire viva, reale, in amicizie vere, verissime, più vere di tutto il resto. Quelle sì capaci di salvarla. Perché se è vero che nessuno può venire a salvarci, è anche vero che nessuno si salva da sé. Il confine è sottilissi­mo e ci vuole coraggio per non cadere da una parte o dall’altra, per ballare sopra la vita spinti da un vitalissim­o istinto di sopravvive­nza.

A raccontare troppo della trama di Strega comanda colore si farebbe un torto al romanzo. Ma anche al presente indicativo con cui Chiara Tagliaferr­i incide la pagina, spingendoc­i a tutta velocità nella vita della protagonis­ta e del mondo che gira intorno a lei. Alla sua lingua biforcuta come quella di un serpente; ma non un serpente velenoso; un serpente dalle squame dorate, vestito di ogni colore più bello. Alle pagine di questo romanzo che non lasciano spazio a nessun tipo di giudizio, di morale, autocompia­cimento o assoluzion­e. Ma che con coraggio difendono, parola dopo parola, il nostro diritto di vivere. Di ricercare la gioia.

Ne L’arte della gioia Goliarda Sapienza scrive: «No! Comincio a capirti. Tu mi vuoi con te per piangere [...]. Tu aspiri a una cella vera, ma io ho fame!». Chiara Tagliaferr­i e la sua protagonis­ta hanno la stessa fame. La fame che abbiamo tutti di strapparci alle streghe che hanno preteso di comandare tutti i nostri colori strangolan­doci con un bianco mortifero, la fame da cui possiamo farci sopraffare. O che, a un certo punto, possiamo convertire in qualcos’altro: per esempio, finalmente, un abbraccio. «C’è un sacco d’amore anche qui, ci ho impiegato una vita per comprender­lo».

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy