DIMENTICARE MAASTRICHT IL CENSIS VEDE L’ERA DELLA «RIDONDANZA»
Il Censis sa creare lessico come pochi. La parola su cui punta nella stagione del dopo-pandemia è «ridondanza». Spiega il direttore generale Massimiliano Valerii: «In concreto vuol dire che bisogna sperimentare un modello nuovo, diverso da quello che abbiamo adottato nei 30 anni che sono passati dal trattato di Maastricht». Lo schema adottato finora si è basato sui bassi costi di produzione, sul contenimento dei salari, il freno alla spesa pubblica e il boom dell’export. «Ma questa strada ci ha condannato per lustri alla depressione della domanda interna e a tassi di crescita risibili. Perché gli industriali potranno anche essere bravissimi a conquistare i mercati più lontani ma senza investimenti pubblici e aumento dei consumi un Paese industrializzato non si sviluppa, non migliora».
Dopo gli anni del rigore a senso unico, dunque, è arrivato il tempo di un’inversione a U, della ridondanza. «Del resto noi italiani non siamo un popolo frugale. Tutt’altro. Abbiamo un senso dello stile, del decoro, dell’ornamento che ci rende diversi e per certi versi unici. I mecenati del Rinascimento a loro modo hanno creato ridondanza e le straordinarie opere architettoniche di cui siamo ricchi rappresentano uno straordinario investimento pubblico capace di generare una redditività protratta nel tempo. Pensiamo all’intatto fascino internazionale delle nostre città d’arte». La ridondanza, per Valerii, non avrebbe solo il merito di farci uscire dal meccanismo soffocante di Maastricht «ma avrebbe il pregio di ridare umore al Paese dopo l’afflizione della pandemia». Ma, obiezione e non da poco, l’Italia che vanta – si fa per dire – il terzo debito pubblico più grande del mondo può permettersi un ciclo di ridondanza? «La misura del debito si calcola in rapporto al Pil», risponde Valerii, «bisogna dunque guardare sia al numeratore che al denominatore. Il debito sul Pil migliora se migliora il Pil. E d’altro canto comprimendo gli investimenti pubblici in questi ultimi dieci anni il debito non mi pare che sia calato».
Massimiliano Valerii, 49 anni, abruzzese, è d. g. del Censis
IL D. G. VALERII: «SENZA CONSUMI E INVESTIMENTI NON MIGLIORIAMO. LA LEZIONE RINASCIMENTALE»