LE PRIMAVERE LONDINESI ANTICIPATE (GIALLE COME LE GIUNCHIGLIE) E L’ANSIA DI TORNARE VERSO SUD
Vi sembrerà strano, ma quando abitavo a Londra per me la primavera arrivava prima. Più o meno in queste settimane dell’anno. E la ragione stava nel fatto che ogni giorno traversavo, a piedi o in bicicletta, Regent’s Park. Ovunque, sulla distesa di un prato che più all’inglese non si poteva, fiorivano infatti a migliaia, disposti in maniera irregolare, a contornare i sentieri o a creare disegni nel verde, i daffodils. In italiano si chiamano giunchiglie. E nella mia ignoranza botanica ho appreso solo di recente che, pur appartenendo alla famiglia dei narcisi, «non tutti i narcisi sono giunchiglie». Questo trionfo di giallo si stagliava sull’azzurro di qualche improvvisa schiarita, partecipando alle evoluzioni cromatiche di un cielo in continuo mutamento perché spazzato dai venti dell’Atlantico, e apriva il cuore alla speranza che l’inverno stesse davvero per finire. Alle latitudini più nordiche (Londra è sullo stesso parallelo del Canada settentrionale) ciò che davvero manca a uno come me, nato in provincia di Napoli, è la luce.
Così, non appena arrivava la fine di febbraio, o l’inizio di marzo, ogni anno avevo la mia regolare crisi di astinenza. E per quanto abbia perfettamente ragione Samuel Johnson quando scrive che «chi è stanco di Londra è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire», l’annuncio del risveglio primaverile si accompagnava in me a un’ansia irrefrenabile di tornare al sole d’Italia.
Si sa che gli inglesi hanno spesso case modeste, ma sempre splendidi parchi. Il loro concetto di “bene pubblico” è decisamente più avanzato del nostro. Eppure l’intensità con cui vivono il rapporto con la natura è qualcosa di più esistenziale, filosofico. Non vi si cerca soltanto il benessere fisico, bensì un pezzo di sé, del proprio rapporto con la vita.
E infatti se io dovessi spiegare perché mai la fioritura dei daffodils ancora oggi scatena in me le emozioni di una madeleine proustiana, non riuscirei a trovare parole migliori di quelle celebri che ha dedicato a questi fiori William Wordsworth: «Io vagavo come una nuvola/ che galleggia alta sopra valli e colline/ quando tutto a un tratto vidi una schiera/ una moltitudine, di giunchiglie dorate./ Accanto il lago, al di sotto degli alberi,/ ondeggianti e danzanti nella brezza./ Continue come le stelle che splendono/ e scintillano nella Via Lattea,/ si tendevano in una linea senza fine/ lungo i margini di una baia:/ diecimila ne vidi a colpo d’occhio,/ che scuotevano le loro teste in una danza briosa./ Le onde vicine a loro danzavano; ma loro/ superavano le onde spumeggianti in gaiezza;/ un poeta non poteva che essere gioioso,/ in tale gioconda compagnia;/ io fissai – e fissai – ma poco pensai/ quale ricchezza lo spettacolo mi portò:/ perché spesso, quando sul mio divano io giaccio/ in maniera oziosa o pensierosa,/ loro compaiono improvvisamente alla memoria/ che è la beatitudine della solitudine;/ e quindi il mio cuore si riempie di piacere,/ e danza con le giunchiglie».
IL POETA WILLIAM WORDSWORTH DEDICÒ I SUOI VERSI MIGLIORI
A QUESTI FIORI CHE COLORANO I PRATI DEI PARCHI INGLESI