QUEI QUATTRO PASSAGGI CHE CAMBIANO LA VITA SE APRI LA TUA «SLIDING DOOR»
ADI GIANCARLO DIMAGGIO ILLUSTRAZIONE DI RESLI TALE
lcuni vivono vite nel giogo della ripetizione, vincolati all’aratro seguono lo stesso solco. Sono privi di paraocchi e credono di scegliere. Si concedono solo piccole deviazioni, presto tornano ad affondare i piedi nel vecchio filare.
Altri chiedono il passaporto per il regno del fantastico, dove la burocrazia è cedevole. Ottenuta la cittadinanza nel paese dell’altrove vi si trasferiscono, si dice che tornino al reale di malavoglia.
Eppure la vita in quel filare non è male, lo percorriamo tutti. Pensateci: è nella ripetizione che riconosciamo noi stessi, acquisiamo un senso di coerenza, il mondo appare prevedibile. La ripetizione è la matrice dell’identità. Suona noioso e limitante, a volte lo è, ma ci garantisce sicurezza. Siamo quindi guidati da un sistema di previsioni stabile, mentre desideri definiti si alternano al comando: oggi vogliamo protezione, domani successo e gloria, «l’ho attratto, ho segnato il punto?». Un giorno ci nutriamo dell’appartenere alla comunità, un altro vogliamo nuove compagnie, nuovi territori dove ci aspettano snowboard e parapendio. In chi prevale un desiderio, in chi un altro. Ma tutti tendono a ripetere la scelta, così da dirsi allo specchio: sono una persona bisognosa di casa, sono competitivo o irrequieto, affamato di novità.
Gli abitanti del fantastico invece costruiscono nella mente terre lontane. Li riconoscete dallo sguardo: elusivo, inafferrabile. Sono mondi guidati dalle leggi di Alice e del Cappellaio Matto: il richiamo della moltezza.
Esiste vera scelta? Arriva il giorno dei sentieri che si biforcano? Il bivio le cui strade non si ricongiungono più, dove una volta intrapresa una diramazione mai sapremo cosa ci attendeva sull’altra? In vite segnate dalla ripetizione o dalla fuga a casa di Alice, ci accade di scegliere? In modo irreversibile?
Certo, ed è il giorno in cui ci appaiono le sliding door, affascinanti e temute. Si basano su un meccanismo mentale: il gioco di finzione. La psicologa Angeline Lillard lo chiama “terra gemella”. Si tratta di immaginare mondi che somigliano a quello che abitiamo ma dove adottiamo altre identità: possiamo essere Black Widow e la regina dei Vichinghi, possiamo vincere i mondiali, amare Mr. Big in un’isola, possiamo essere tutto.
La “terra gemella” non è il mondo
del Cappellaio. L’abitiamo tutti quando ci lasciamo andare alla fantasia. È una funzione mentale indispensabile, la sorgente delle decisioni alla soglia del sentiero che si biforca.
Attenzione: la vera sliding door non è un tiro di dado del fato. Non è quella del film. Certo, può accadere che un tiro fortunato discrimini vittoria e sconfitta, ma passato un po’ di tempo, torneremo nel solco nel quale già camminavamo. La vera sliding door consiste di quattro passaggi, in rigorosa sequenza. Il primo: figurarsi due mondi, quello che abitiamo e quello parallelo. Molti si fermano qui: anche solo immaginare una vita diversa, forse
IL QUARTO ATTO È LA TRADUZIONE NEL REALE. «PROVI A PRATICARE IL MONDO ALTRO. POTRÀ FALLIRE,
MA LA PROVA IN SÉ IMPEDIRÀ ALLA PORTA
SCORREVOLE DI RICHIUDERSI»
più interessante, è per loro pauroso. O semplicemente impensabile. Il secondo: abitare il mondo parallelo nel teatro della mente; non è richiesto il bagno nelle acque fredde della realtà. Molti non oltrepassano questo livello.
Il passaggio decisivo è il terzo: la preparazione dell’azione. Noi psicoterapeuti che lavoriamo in quella che chiamo “rivoluzione esperienziale”, apriamo e chiudiamo le sliding door così: chiediamo al paziente di visualizzare una scena che incarni il mondo usuale, rassicurante e costrittivo, familiare e doloroso. La abitano ascoltando le emozioni e il corpo: petto schiacciato, gambe deboli, spalle curve. Poi li portiamo davanti alla porta del mondo altro, attraente e spaventoso, chiediamo loro di fare un passo così da abitarlo. Ascoltano emozioni e muovono il corpo, allargano le scapole, tirano su il mento, flettono le cosce fino a sentirne la tenuta, quel dolore al quadricipite che dice: sei albero e radici.
E ora oop, un saltino, inizia il quarto atto: la traduzione nel reale. «La settimana prossima provi a praticare il mondo altro. Può fallire, non importa, scopriremo comunque qualcosa di nuovo. Perché se ci prova, impedisce alla porta scorrevole di richiudersi davanti al naso».
La biforcazione la ricreiamo nel passato o nel futuro. A Veronica ho proposto un passato diverso. La riporto con l’immaginazione in auto, legge un messaggio sul cellulare del marito: è l’amante. Afferra il cellulare, esige spiegazioni. Al semaforo rosso lui le sbatte la testa contro il finestrino. Chiede aiuto, il marito è veloce: stacca le mani, scusate, è pazza, vedete? La gente indifferente. La via d’uscita è un attimo prima. «Torni indietro, guardi il cellulare, fatto? Ora resista alla tentazione di afferrarlo. Aspetti il semaforo rosso. Apra lo sportello, scenda, ci riesce?». Veronica esce, nella folla accogliente si perde, libera.
Ho proposto a Rossana di scegliere un futuro nuovo. Una relazione spenta, da anni, la porta avanti solo per un disperato bisogno di sicurezza. Un’infanzia di abbandoni ne spiega le ragioni. Ha voglia di muoversi, non ci riesce. «Si sieda a fianco del suo compagno sul divano, in attesa che lui proponga qualcosa di vitale». Niente. «Ora immagini sé stessa davanti al gate di Fiumicino, il volo per Miami che da mesi non riesce a progettare». La faccio entrare e uscire dalle due scene varie volte: sul divano prova sicurezza e noia, a Fiumicino eccitazione e colpa. «Varchi il gate».
Mesi dopo, a terapia finita, mi arriva una cartolina. Io a Miami non ci sono mai stato! Una sliding door mi aspetta socchiusa.