DA A DI QUANDO SI ERA GIOVANI
LE PAROLE SPECIALI
LEGGENDO NELLE PAGINE di 7 il servizio sui cinquantenni adolescenti negli Anni 80, non ho potuto fare a meno di immedesimarmi. E ripensare con tenerezza al me stesso di quegli anni che a Roma andava in giro vestito da paninaro. Anche se a Roma nessuno – nemmeno io, ovviamente – si sognava di parlare come i paninari della tivù: ammesso e non concesso che da qualche parte si sia davvero usato quel «paninarese» che sembrava inventato dal Drive In. Fatto sta che quando avevo 15-16 anni non ho mai sentito dire truzzo o tamarro ,ma bòro o soggetto; non tacchinare ,ma battere i pezzi; mai parole come squinzia o sfitinzia o galloso. Il linguaggio giovanile – d’altronde – risentendo dei dialetti, è sempre stato diverso da regione a regione, da città a città.
All’epoca consideravo quel linguaggio una conquista, frutto di un certo apprendistato: anche perché non aveva mai di smesso di cambiare. Fin dalle elementari avevo imparato che fare effusioni amorose si diceva pomiciare; verso i 12 anni – però – mi ero reso conto che il termine suonava ormai antiquato ed era preferibile usare limonare; tutt’a un tratto, alle superiori, cominciai a sentir parlare di paccare: ci misi un po’ a capire che si stava discutendo sempre della stessa cosa. Allo stesso modo, per tenere il ritmo di quell’incessante rinnovamento, dovetti passare nel giro di qualche anno da ficata a sballo a fissa , da strizza a smaltita e così via. A volte – va detto – si trattava di novità percepite, se è vero che già nel 1933 Paolo Monelli consigliava di sostituire flirt con «amoreggiare, frascheggiare, civettare, limonare, tubare, filare».
Come una fotografia
Il meccanismo soggiacente, comunque, è piuttosto lineare: l’uso frequente e stereotipato brucia in breve tempo parole ed espressioni, rendendole ben presto inservibili. Per la semplice ragione che non soddisfano più l’esigenza di espressività, di “stranezza”, alla base di questo linguaggio. Quei modi non più alla moda possono allora andare incontro a due diversi destini. O scomparire dall’uso, come accade la gran parte delle volte: chi sa più che negli Anni 70 fa i giovani di Bologna dicevano streppo per «bidone» e zippo per «cafone»? Oppure, in alcuni casi, andare ad arricchire la lingua colloquiale usata indifferentemente da figli e genitori: come è accaduto ad esempio per secchione o cotta. Anche se cotto per «innamorato» vanta attestazioni in Pietro Aretino, Berni, Goldoni, Parini e – soprattutto – oggi ragazze e ragazzi preferiscono parlare di crush: «lui/lei è la mia crush».
E così arriviamo al punto. Certi usi linguistici, proprio come certe canzoni e certi modi di vestire, restano per sempre associati al ricordo della nostra gioventù. Si cristallizzano nella memoria e un po’ come una fotografia rappresentano noi stessi a una certa età. Quali sono i vocaboli, gli usi, i modi di dire che per voi fanno questo effetto? Se vi va, potete raccontarcelo scrivendo all’indirizzo lettereasette@rcs. it. Così, nelle prossime settimane, potremo allestire in questa rubrica un piccolo album di storia del costume linguistico.
SCRIVETE A LETTEREASETTE@RCS.IT VOCABOLI E MODI DI DIRE CHE ASSOCIATE ALLA GIOVENTÙ: NASCERÀ UN PICCOLO ALBUM