Corriere della Sera - Sette

PASOLINI «MALEDETTO» QUANTO CARAVAGGIO

- Battaglia di Eraclio e Cosroè, Storie della Vera Croce (La Ricotta, Mamma Roma Vangelo secondo Matteo...)

Le visioni pittoriche del regista “trasferite” nelle inquadratu­re dei suoi film. Folgorazio­ni che attraversa­no la storia dell’arte

Pittore lo era prima di tutto nel profondo e non solo davanti alla tela o al foglio, ma anche nei suoi scritti come dietro alla cinepresa. Basterebbe­ro poi quei due suoi autoritrat­ti, entrambi con un fiore in bocca (quasi una citazione pirandelli­ana), una margherita nel primo e un bocciolo rosso nel secondo, e dove in quest’ultimo il suo volto è quasi maschera espression­ista, a rivelarci quanto questa passione lo animasse. Fin dal 1941, quando apprese i primi rudimenti della pittura e al contempo scrisse Poesie a Casarsa. Guardava ai primitivi, a Giotto, ma poi anche a Cézanne che idolatrava, e ai suoi contempora­nei, tra cui Braque, Man Ray, Zigaina, Guttuso, Bacon, Pollock, e Mauri con il quale fece una performanc­e. Tutto scorreva in parallelo in quest’intellettu­ale, poeta, scrittore, critico letterario e d’arte, autore di teatro, cineasta, anche professore di scuola media. E marxista.

Il disegno, compagno di vita. In uno, per dichiarare tutta la sua tenerezza a un ragazzo, si firma “al piccolo Giotto il suo Cimabue”. E poi gli undici ritratti di Maria Callas (ancora più icona tragica nel suo film Medea), di cui uno fatto con tecnica sperimenta­le e materia spuria, occasional­e: con il succo di frutti schiacciat­i sulle tempie del viso del soprano e gocce di cera (come raccontava la storica dell’arte Marisa Vescovo). Ma su tutte le figure che ritornano

sul cinema di Pasolini in forma di personale storia dell’arte, forte spinta immaginati­va nei suoi più celebri film ,il Decamerone ,il introducen­do nei fotogrammi colti rimandi: frammenti, particolar­i di un quadro, mescolando Masaccio e Masolino ai pittori manieristi (ne La Ricotta Pontormo e Rosso Fiorentino), inquadratu­re costruite sulle regole dell’arte pittorica, ma filtrate concettual­mente. Non la citazione tout-court: così in Mamma Roma (sceneggiat­ura dedicata a Longhi) per la morte di Ettore sul letto di contenzion­e, nell’inquadratu­ra che parte dai piedi, non è al Cristo morto del Mantegna che bisogna guardare (così nell’invettiva di Pasolini contro i critici che non sanno vedere), ma semmai a una mistione di Masaccio e Caravaggio. Maudit quanto lui. È la luce, con i chiaroscur­i a guidare la mano del Merisi nel dipingere una realtà fatta di individui veri. Pasolini cerca il sacro nella realtà, nella vita delle persone. Piero della Francesca (caro al Longhi, a cui si deve la riscoperta di Caravaggio) con la sua Madonna del parto, “appare” nel Vangelo secondo Matteo. Nel Decamerone del 1971 dopo essersi documentat­o su codici miniati medievali, mescola Giotto, Brughel, Bosch, entrando come personaggi­o, nel ruolo del pittore. «È il primo film italiano a mostrare la nudità esplicita del corpo maschile e femminile in un rapporto sessuale», dice il curatore Bazzocchi. Lo scandalo appartiene alla sua parabola, terminata la notte del 2 novembre 1975, con l’assassinio.

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Piero della Francesca era un altro artista amato da Pasolini, attraverso la lezione dello storico dell’arte Roberto Longhi. Da sinistra, La Madonna del parto che ispira la figura della ragazza ne Il Vangelo secondo Matteo, così come il copricapo del trombettie­re dalla

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