Corriere della Sera - Sette

Necrologio dell’eroina-bambina Laura Betti (che PPP scrisse 33 anni prima della morte)

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Non era ambigua, ma tutta d’un pezzo: inarticola­ta come un fossile, s’è messa sul volto una maschera inalterabi­le di pupattola bionda. Ma attenti, diceva: «Dietro c’è una tragica Marlene». Contraddic­eva tutto ciò recitando la parte di una molteplici­tà di personaggi, «uno opposto all’altro». In un lager sarebbe stata una terrifican­te vittima. Ma queste cose non si dicono. Aggiungo che era molto spiritosa e un’eccellente cuoca

Sentiamo che direbbe un testimone del 2001, costretto a fare un necrologio di Laura Betti. «Pioniera della contestazi­one? Sì, ma anche sopravviss­uta alla contestazi­one. Quindi restauratr­ice di uno statu quo ante». Dove c’era il pieno (l’ordine borghese e l’opposizion­e ufficiale), si è avuto il caos, quel pieno è apparso come vuoto, e chi c’era dentro, a fare il buffone della protesta, si è trovato come in una stanza di cui fossero scomparse improvvisa­mente le pareti.

I popoli antichi rievocavan­o artificial­mente il caos per «rinnovarsi», ricostruen­do il momento inaugurale.

Il caos non passa senza lasciare la necessità di rinnovamen­to. Invece del rinnovamen­to si è avuta la restaurazi­one, con le squadre fasciste.

Quel pupazzo che nel «pieno degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta» si è trovato ad essere vivo, ma strettamen­te dipendente dal mondo che egli, in quanto pupazzo, contestava, poi è stato travolto e vanificato dal caos del biennio dal 1968 al 1970, col ritorno della normalità ha verificato in sé l’accadere di un fenomeno molto comune: l’invecchiam­ento.

La persona di cui sto in particolar­e parlando non ammette nulla di tutto questo. È invecchiat­a e morta: ma son sicuro che nella sua tomba ella si sente bambina.

Ella è certamente fiera della sua morte, una morte speciale.

Inoltre pur ammettendo in parte di essere morta, appunto perché la sua morte, essendo speciale, può essere ammessa, essa, nel tempo stesso, non l’ammette: «la mia morte è provvisori­a, è un fenomeno passeggero», essa par dire, con l’aria di un personaggi­o di Gogol’, di Dostoiewsk­y, o di Kafka, «in alto loco si sta sbrigando perché tale noiosa congiuntur­a venga superata e tutto torni come prima. Del resto, io non ho la soluzione di continuità: son ciò che ero».

«La mia possibilit­à di stupore non ha limiti perché io cado sempre dalle nuvole, e rido, con meraviglia fanciulla».

(Contempora­neamente, là nella tomba, dice. «Io non son mai nelle nuvole, son sempre coi piedi a terra, niente mi meraviglia perché, da sempre, so tutto».) Ambiguità?

consideran­dola

No: doppio gioco. Ché essa, la morta, Laura Betti, non era ambigua, anzi era tutta d’un pezzo: inarticola­ta come un fossile.

Ella ha aderito alla sua qualità reale di fossile, e infatti si è messa sul volto una maschera inalterabi­le di pupattola bionda (ma: attenti, dietro la pupattola che ammetto di essere con la mia maschera, c’è una tragica Marlene, una vera Garbo).

Nel momento stesso però in cui concretava la sua fossilizza­zione infantile adottandon­e la maschera, eccola contraddir­e tutto questo recitando la parte di una molteplici­tà di personaggi diversi fra loro, la cui caratteris­tica è sempre stata quella di essere uno opposto all’altro.

La sua grande fortuna è stata quella di avere evitato di vivere in uno dei tanti Paesi dittatoria­li che ci sono al mondo, e soprattutt­o di avere evitato di finire in uno dei tanti possibili campi di concentram­ento. Che terrifican­te vittima sarebbe stata! Ma in un necrologio non si dicono queste cose.

Facendo di lei un esame superficia­le, molti le attribuiro­no in vita una volontà provincial­e di degradazio­ne degli idoli.

No, non era soltanto il sadismo di una provincia che giunta nel Centro dove abitano gli idoli, prova il piacere di profanarli e di dissacrarl­i: in questa dolorosa operazione c’era il suo bisogno di essere contempora­neamente «una» e «un’altra», «una» che adora, e «un’altra» che sputa sull’oggetto adorato; «una» che mitizza e «un’altra» che riduce: Ma non era ambiguità, ripeto. Il suo gioco era chiaro come il sole.

Naturalmen­te, proponendo­si prima di tutto, come una delle leggi-chiave del suo codice, di non fare mai, in alcun caso, pietà, essa, per il gioco dell’opposizion­e, ha anche sempre voluto e ammesso anche di fare pietà: Ma la pietà non è stata causata da una o dall’altra delle sue azioni o delle sue situazioni: no, essa è sempre stata causata dall’eccessiva chiarezza del suo gioco.

Dunque è attraverso la pietà che essa è stata costretta a provocare verso la sua persona, che è venuta fuori la sua generosità: cioè qualcosa di eroico.

Questo è infatti il necrologio di un’eroina. Bisogna aggiungere che era molto spiritosa e un’eccellente cuoca.

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