UNA LEZIONE: STACCARSI DA CIÒ CHE CONOSCIAMO
Nel monologo Carne blu, l’attrice e autrice mette al centro il corpo cercando nuove identità. Come insegnava Ronconi
Si sente «orgogliosamente donna» Federica Rosellini e considera il corpo femminile, il suo corpo, «resistente e politicamente importante da abitare». Ne ha fatto un habitus. Come attrice e autrice l’ha trasformato in tramite. Andare oltre la fisicità e così affrontare quelle tematiche di genere che hanno sempre fatto parte della sua esperienza artistica, ma che oggi sono costantemente in proscenio.
«Nei personaggi interpretati, nelle mie regie, attraverso quella complessa geografia della mia anima, cerco di creare un dialogo con il pubblico. Diventare occasione di riflessione personale perché ognuno trovi la sua personale architettura dell’anima. Entrando nella carne di un altro». Come la Carne blu, titolo del testo pubblicato da Rosellini nel 2021, con prefazione di Claudio Longhi e Nadia Terranova, dal quale ha tratto il monologo che porta lo stesso nome, interpreta e firma la regia, in scena dal 13 aprile in prima nazionale al Piccolo Teatro Studio di Milano, che ne è anche il produttore. Testo di cui è protagonista, recita il titolo: Un Orlando.
Blu. Un colore che è anche violento per parlare di carne e di fisicità. «Ma il blu indica la cottura più succulenta della carne. E sinonimo di luce lunare e delle maree. Anche dei fantasmi. La non materia, quella del protagonista: Orlando è un bimbo in cerca della sua fisicità/identità». Una figura oltre il binarismo dell’Orlando capolavoro di Virginia Woolf: «Oggi di personalità binarie se ne parla tanto. Però è una maglia troppo stretta per potersi accontentare». L’Orlando del monologo passa attraverso l’interspecie, ha un cuore in una tasca perché non ha corpo, e per conquistarlo passa attraverso la fisicità di insetti, uccelli, lupi e ghepardi. Un viaggio affascinante. Come quello affrontato da Rosellini quando il suo padre artistico, il regista Luca Ronconi, con cui l’artista si diploma e lavora fianco a fianco (ne I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy), le dice: «con la schiettezza, persino la ferocia che lo contraddistingueva: “Staccati da quello che conosci. Vai lontano. Arriva oltre”. Così è stato». Dopo l’esperienza ronconiana un periodo di “riflessione”. Il viaggio poi riprende. Va in scena con pièce come Testo tossico del filosofo Paul Preciado: si parla di perdita e poi di ritrovare chi è scomparso: un’amica che perde un amico caro che muore: «Devenir toi, il titolo che segna l’inizio del racconto: lei per ritrovare lui, passa nel suo corpo». E con questo trascolorare da un genere all’altro, da una fisicità a una non fisicità, Rosellini si confronta in scena con lo shakespeariano Hamlet del regista Antonio Latella, spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro, in cui l’essere o non essere la vede interprete di un ruolo maschile. Fluido era il teatro elisabettiano per necessità dell’epoca, ora lo deve essere per offrire strade per costruire l’immagine di sé stessi. Ma che sia impalpabile e tangibile come la carne.