Oggi a Bari
Un barese doc racconta come è cambiata (in meglio) la sua città ora che corso Vittorio Emanuele non è più un limite, ma una cerniera tra due anime. Noi invece vi consigliamo dove andare a mangiare
Oltre il confine
L’anima di Bari è una strada. Parte da ovest e arriva a est, fino al mare. Corso Vittorio Emanuele è la sintesi di tutto: l’urbanistica, la viabilità, il modo di essere, il modo di vivere, l’economia, il commercio, la politica, la gastronomia. Divide in due una città in un senso diverso rispetto ad altrove. Qui è letterale: da una parte la città vecchia, bizantina, un reticolo di vie e vicoli stretti, storti, di case vicine, di bassi; dall’altra parte il quartiere murattiano, francese, vie ampie e dritte, parallele e perpendicolari perfette. Corso Vittorio Emanuele divide e unisce, è un check point ideale che in realtà è stato sempre attraversato.
Solo che prima lo facevano solo i baresi. Perché Bari è doppia, gode nell’essere ciò che vuole essere a seconda del momento. Il bifrontismo è l’orgoglio levantino, di una città che sa stare al mondo.
Bella, molto più di quanto essa stessa pensi di essere e molto più di quanto si dicesse fino a una ventina di anni fa, quando è definitivamente decollata per effetto di politiche di riqualificazione urbana che hanno contribuito a fare ciò che corso Vittorio Emanuele fa da sempre: tenere insieme due mondi apparentemente diversi. Prima, di là del corso i turisti andavano solo accompagnati, per paura della microcriminalità. Visitavano la Basilica di San Nicola e tornavano di qua, tra i negozi di via Sparano, via Putignani, via Melo. Oggi l’osmosi è totale: si va e si viene, perché così è se vuoi capire questo mondo appoggiato sull’Adriatico. Si parte di là, dalle signore del Borgo Antico che stendono la pasta per le orecchiette o friggono le sgagliozze, lo street food autoctono (polenta fritta) che è diventato uno dei «doveri» del turista che viene in città; si arriva di qua, per una passeggiata tra negozi che non fanno invidia a una metropoli. Perché in fin dei conti l’anima vera, profonda, è commerciale. Bari si vende, Bari si sa vendere. Si accomoda su se stessa trasformando vizi in virtù e viceversa. Pietrangelo Buttafuoco qualche anno fa scrisse un bellissimo reportage sulla città, che si riassume in questa frase: «Questa
è la città della vera marineria, ovvero il contrabbando, il grande affare, il malaffare, sapere insomma cosa fare. Bari che è tutta sopra, sotto e abbascio».
Laica, borghese, vagamente terzista, liberale e appunto commerciante. Bari è così. Mai uno scontro eccessivo, molti accomodamenti, eterne mediazioni. L’ex governatore Salvatore Di Staso, una volta disse: «È l’unico posto dove una fazione può capitolare a un’elezione prenotandosi serenamente per il prossimo giro senza gridare all’anatema». Era la ripresa elegante di quello che il primo sindaco della città nel dopoguerra, Natale Lojacono, diceva con un linguaggio più volgare: «Qui l’urna è puttana». Il compromesso è la cifra del suo modo di essere: tra la bellezza e il degrado, tra il passato e il futuro, tra il bene e il male, tra Oriente e Occidente, tra la terra e il mare. La sua cucina è lo specchio fedele: il piatto della cucina popolare, riso, patate e cozze, è l’esempio più puro. Qui è un punto d’orgoglio, e mescolare la terra con il mare è la sua forza motrice.
La cultura del pesce e dei frutti di mare crudi, del polpo, anch’esso crudo, per essere baresi veri si lega a doppio filo al richiamo della terra: le cime di rapa, le brasciole (sì, con «sc» a differenza di altrove, ovvero involtini di cavallo immersi in un sugo alla pizzaiola), fave e cicorie. Poi la regina: la focaccia barese. Piena di pomodori e condita con olio di oliva extravergine come se ci nuotasse dentro. D’altronde arrivandoci in aereo lo capisci in fretta: di qua sei nella più
incredibile, enorme, precisa coltivazione di ulivi del mondo che parte da una cinquantina di chilometri a nord e sfonda a sud molto oltre i confini della provincia barese; di là il mare con tutto ciò che porta con sé. Non si può scegliere di essere una cosa sola se ti appoggi in un territorio così. Bari ha il suo ritmo, i suoi tempi e i suoi modi. È una città ad alto tasso di qualità della vita, con un
clima meraviglioso e un cielo molto più azzurro di molti altri azzurri. Si apre al mondo, da sempre. All’inizio degli anni Novanta fu anche coniato uno slogan: «A Bari nessuno è straniero». E non c’è niente di più vero.
Giuseppe De Bellis, scrittore e giornalista, è direttore di Sky TG24.