Cosa si mangia in Francia
Viaggio in una terra di confine che unisce paesaggi antichi e sperimentazioni gastronomiche, momenti selvaggi e passeggiate ad alto tasso di tecnologia
Linci e torte in Alsazia
Sai quando ti perdi alle undici di sera per una stradina nei boschi, da qualche parte in mezzo al Parco Naturale dei Vosgi, in Alsazia? Ti perdi perché stai cercando quella dimora di charme dove la quiete è perfetta (ci credo) e dove passerai la notte (forse). Ecco, a un certo punto, nel buio pesto, mi è sembrato di vedere un gatto, anzi due. La silhouette asciutta, le orecchie a punta che bucavano il fascio di luce dei fari. «Sono un po’ alti per essere gatti», ho commentato. E subito dopo: «Sono due linci!». Cercando su Google, ho verificato che: «Questo è il posto giusto per incontrare caprioli, cervi e, con un po’ di fortuna, anche linci …». Siamo in Alsazia. Piccoli villaggi di pietra e ristoranti stellati. Cibo, vino, strade di montagna, boschi e vigneti. E terra di orecchie affilate e natura selvaggia.
Una gara di storia
Un luogo che sembra sospeso nel tempo. Che, però, mi è familiare. Quando studiavo Storia moderna e contemporanea all’Università di Pisa, c’era una specie di gara tra me e il mio compagno di corso Michele. Sfidarsi all’Alsazia e la Lorena, cioè ricordare, dopo i diversi trattati di pace, a chi «spettavano» queste regioni. Al confine tra Francia e Germania, sono passate a più riprese da una parte e dall’altra (Trattato di Vestfalia, 1648, alla Francia, Trattato di Francoforte, 1871, alla Germania; Trattato di Versailles, 1919, alla Francia), e così l’Alsazia conserva nell’architettura, nella toponimia e nel cibo suggestioni germaniche, assorbite in uno stile di vita francese.
La sera delle linci, alle dieci, passeggiavo per il centro di Kaysersberg (borgo di quasi 3000 abitanti, fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo, letteralmente «collina dell’imperatore»), gustandone la preziosa vita notturna: silenzio totale. Tra le case a graticcio, basta fare un centinaio di passi per finire cinque secoli indietro nel tempo: la fontana di ➝
«Strasburgo è una delle capitali dell’Unione Europea: qui hanno sede il Parlamento e il Consiglio d’Europa. Ma il suo cuore è la Grande Île, con la cattedrale di Notre-Dame e il suo merletto di pietra»
Costantino, dalla massiccia struttura ottagonale, è del 1521. Il fascino di questi luoghi è proprio quello di proporti un’esperienza di «realtà aumentata medievale» in dissonanza, che si muove tra un panorama antico e miraggi di vita contemporanea.
Me ne ero già accorta quando, nel pomeriggio, ero arrivata attraversando la campagna a Vieux-Ferrette, villaggio di 600 persone, e davanti alla Fromagerie Antony non avevo visto un carro, ma una Bentley, bianca. Dopo una spazzolata alle scarpe, vestita di un bel grembiulone, avevo visitato questo paradiso della muffa diviso in sette celle, per vedere dove maturano, scambiandosi una varietà di microrganismi, cento tipi diversi di formaggi, provenienti dai migliori produttori – 95% francesi –, e ammirare le tante piccole forme a tronco di piramide, rotonde avvolte di foglie di castagno, a ciambella. Una volta invecchiati finiscono sulle tavole dei grandi cuochi (Alain Ducasse tra loro) e delle grandi famiglie. Ma si possono anche comprare (solo qui) o degustare nella saletta attigua.
Amare la natura
La mia passeggiata medievale seguiva la cena a La Table d’Olivier Nasti, due stelle Michelin. Frequentato da gente del posto e personaggi internazionali (Strasburgo e il Parlamento europeo sono solo a un’ora di strada, per tutta la cena ho origliato un giovane diplomatico discettare di come nove brillanti studenti su dieci non accettino posizioni prestigiose perché rischiose), è uno dei ristoranti dell’hotel cinque stelle con spa Le Chambard. La cucina di Nasti esprime il suo «amore per la natura, per la pesca, per la caccia» e gli ospiti lo ritrovano nel filetto di capriolo rosso ai mirtilli selvatici e in quello di anguilla del Reno leggermente affumicata e laccata agli agrumi; «l’anima alsaziana ma non regionale» si gusta invece nel suo foie gras d’oca d’Alsazia con crema di Berawecka (un pane locale alla frutta secca) e toma delle montagne. Negli appunti ho segnato che ogni anno dalla cucina passano 15 tonnellate di carne di cervo e 1200 uccelli. E che la prugna di Alsazia (protagonista del dolce nella foto a pagina 120) si chiama Quetsche, che non è la tenda della Decathlon, come credevo sentendone pronunciare il nome.
Lezioni di dŽcor
A Colmar, capoluogo dell’Alto Reno, camminare per strada equivale a seguire un tutorial di décor alla francese. Ogni casa, ogni uscio offre un’ispirazione. Decine di annaffiatoi di latta arrugginita appesi a una tettoia, il rosa antico di un intonaco… La difficoltà è saper riprodurre la spontaneità della negligenza. Perché qui parte del décor è frutto degli agenti atmosferici che arrugginiscono, lasciano patine, scompongono abbinamenti. Anche l’acqua dei canali del quartiere Petite Venise fa la sua parte. In autunno ci galleggiano foglie rosse e gialle rendendo tutto ancor più struggente. Proprio qui si trova JY’S, il ristorante di un altro cuoco due stelle, Jean-Yves Schillinger, alsaziano con carriera internazionale e una certa somiglianza con Gordon Ramsay. («L’altro giorno mi hanno fermato in aeroporto per farsi delle foto con me. “Lei è lo chef?”. E io, “Sì”, ma non ero quello che credevano»). Figlio d’arte, per una triste vicenda familiare (la morte del padre nell’incendio del ristorante), parte per gli Stati Uniti, apre due ristoranti e diventa celebre, nel 2002 torna e inaugura il JY’S, fa consulenze e continua a gestire
tutto fino a che la pressione non è troppa («Se non hai la donna giusta accanto, questa vita ti distrugge»; per la cronaca la moglie Kathia è in sala), infine decide di dedicarsi solo al suo ristorante, che arriva alle due stelle Michelin nel 2016. Prima di gustare l’astice in caffettiera con verdure marinate, portano al bancone dove sediamo un bonsai di olivo, con appese olive nere e verdi accompagnate da pane soffiato al formaggio, foie gras brûlé al pepe nero con mela cotogna, e dopo gelée di pompelmo immersa in un misterioso fumo bianco.
Bianchi? Sì, ma c’è un rosso...
Non è facile, dopo un pranzo annaffiato dalle bollicine locali, un Crémant d’Alsace Brut Rosé Cave de Turckheim (doveri del cronista), fare visita a una cantina. Ma Anis della Maison Joseph Cattin, dodici generazioni nel vino a Voegtlinshoffen (14 chilometri da Colmar), ha l’entusiasmo di chi sa di avere avuto una gran fortuna. Nel novembre 2017 è stata aperta una terrazza-belvedere affacciata sul vigneto, perfetta per una degustazione-aperitivo, con formaggi locali o in abbinamento a cioccolato grand cru Abtey. «So che siamo conosciuti per i bianchi, il Riesling, il Pinot Grigio, ma se mi chiede qual è il vino migliore della nostra cantina, devo dirle il Pinot Noir. Prima della Prima guerra mondiale era molto diffuso, ma poi è passato di moda.
Anni fa lo abbiamo ripiantato e quello del terroir di Steinbach è uno dei migliori della nostra produzione». Dalla terrazza i filari già tinti di rosso dall’autunno scendono dolcemente verso il basso. «Li puoi percorrere in Segway, volendo», mi dice. In Segway, tra i filari…
La fattoria dei desideri
Non mi ricordo più chi mi ha parlato per primo del wwoofing (World-Wide Opportunities on Organic Farms). Se Valentina, la ragazza italiana che vendeva frutta al mercato di Strasburgo, o qualcuno al ristorante di Thierry Schwartz, a Obernai. Si tratta di un soggiorno presso una fattoria bio in cui impari le pratiche sostenibili in agricoltura, lavori e in cambio ottieni vitto e alloggio. Da allora voglio essere una wwoofer. Però con le sneakers di raso ho avuto già le mie difficoltà a Les Fermes de Pinpin, dove siamo arrivate a mezzanotte (si trova a Labaroche, non lontano da Kaysersberg, accendete il navigatore). Una casa vosgiana, col tetto a punta, coperta di vite americana; le persiane celesti, la piscina esagonale e un padrone di casa, Pinpin, che è una forza della natura; per questo il décor delle sue case (diverse le soluzioni, da quelle nel corpo principale alla casa troglodita, costruita nella roccia, dove ho soggiornato io) è così giusto: la cucina all’aperto, piena di cocci; le foglie ammassate sui
tavolini («Non le spazzate via, sono così belle»); le cassette di mele appena colte. A ogni modo, il terreno di fronte alla casa troglodita era fangoso e nonostante la torcia mi sono inzaccherata fino al ginocchio. Per fare la wwoofer mi devo attrezzare.
Un gelato al pomodoro
Al mercato biologico di Strasburgo si possono comprare frutta e verdura, e diverse specialità gastronomiche locali. Anche i pomodori rosa di Berne, di cui ho mangiato un gelato con miele al ristorante di Thierry Schwartz a Obernai. «Sono una varietà particolare, molto dolce, li prendo da Antoine Fernex, un pioniere del biodinamico», mi ha raccontato il cuoco (costano otto euro al chilo). In effetti, Thierry mette l’ingrediente davanti a tutto e la sua carta (della settimana) è fatta di un elenco di figurine in bianco e nero: la clorofilla di Genevieve Huck (intende insalata), l’uovo della Ferme Hubert, la Lentille Beluga de Lupstein. Da assaggiare L’uovo dentro l’uovo, piatto protetto dal copyright: una specie di raviolo con due dischi di albume, all’interno il tuorlo e una guarnizione che cambia a seconda della stagione: tartufo bianco, caviale, funghi.
Fiammata finale
La vera tentazione di shopping del mercato di Strasburgo sono le stoviglie con decori agresti. Le stesse che ho trovato all’Auberge du Pont de la Zorn, un posto da non mancare se si viene in Alsazia, perché qui si prepara un «monumento» locale: la tarte flambée. Il ristorante-stube è pienissimo. Vengono da Strasburgo e anche dalla Germania, siamo a una decina di chilometri dal confine, a Weyersheim. Myriam e Hervé Debeer ne sono l’anima. Myriam, in costume alsaziano, con una camicia
bianca con merletti sui polsi che avrei voluto rubarle subito («La trovi a Strasburgo, da Maison Bossert»), mi racconta cosa vuol dire preparare questa specie di focaccia senza lievito. «È un lavoro lungo. Il lunedì arriva il fornitore e mio marito con un aiutante scarica tutta la legna, di faggio e di pino, che serve per cuocere la tarte. Almeno quattro ore prima del servizio si prepara l’impasto; alle due del pomeriggio si accende il fuoco. È la resina del legno di pino che si infiamma nel forno a creare la crosticina». Condita con crème fraîche, cipolla e bacon, si fa a spicchi e si mangia in un baleno. ll tempo di vedere una lince.