La Cucina Italiana

Cosa si mangia in Francia

Viaggio in una terra di confine che unisce paesaggi antichi e sperimenta­zioni gastronomi­che, momenti selvaggi e passeggiat­e ad alto tasso di tecnologia

- di SILVIA PAOLI foto PAOLA ALLEGRA SARTORIO

Linci e torte in Alsazia

Sai quando ti perdi alle undici di sera per una stradina nei boschi, da qualche parte in mezzo al Parco Naturale dei Vosgi, in Alsazia? Ti perdi perché stai cercando quella dimora di charme dove la quiete è perfetta (ci credo) e dove passerai la notte (forse). Ecco, a un certo punto, nel buio pesto, mi è sembrato di vedere un gatto, anzi due. La silhouette asciutta, le orecchie a punta che bucavano il fascio di luce dei fari. «Sono un po’ alti per essere gatti», ho commentato. E subito dopo: «Sono due linci!». Cercando su Google, ho verificato che: «Questo è il posto giusto per incontrare caprioli, cervi e, con un po’ di fortuna, anche linci …». Siamo in Alsazia. Piccoli villaggi di pietra e ristoranti stellati. Cibo, vino, strade di montagna, boschi e vigneti. E terra di orecchie affilate e natura selvaggia.

Una gara di storia

Un luogo che sembra sospeso nel tempo. Che, però, mi è familiare. Quando studiavo Storia moderna e contempora­nea all’Università di Pisa, c’era una specie di gara tra me e il mio compagno di corso Michele. Sfidarsi all’Alsazia e la Lorena, cioè ricordare, dopo i diversi trattati di pace, a chi «spettavano» queste regioni. Al confine tra Francia e Germania, sono passate a più riprese da una parte e dall’altra (Trattato di Vestfalia, 1648, alla Francia, Trattato di Francofort­e, 1871, alla Germania; Trattato di Versailles, 1919, alla Francia), e così l’Alsazia conserva nell’architettu­ra, nella toponimia e nel cibo suggestion­i germaniche, assorbite in uno stile di vita francese.

La sera delle linci, alle dieci, passeggiav­o per il centro di Kaysersber­g (borgo di quasi 3000 abitanti, fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo, letteralme­nte «collina dell’imperatore»), gustandone la preziosa vita notturna: silenzio totale. Tra le case a graticcio, basta fare un centinaio di passi per finire cinque secoli indietro nel tempo: la fontana di ➝

«Strasburgo è una delle capitali dell’Unione Europea: qui hanno sede il Parlamento e il Consiglio d’Europa. Ma il suo cuore è la Grande Île, con la cattedrale di Notre-Dame e il suo merletto di pietra»

Costantino, dalla massiccia struttura ottagonale, è del 1521. Il fascino di questi luoghi è proprio quello di proporti un’esperienza di «realtà aumentata medievale» in dissonanza, che si muove tra un panorama antico e miraggi di vita contempora­nea.

Me ne ero già accorta quando, nel pomeriggio, ero arrivata attraversa­ndo la campagna a Vieux-Ferrette, villaggio di 600 persone, e davanti alla Fromagerie Antony non avevo visto un carro, ma una Bentley, bianca. Dopo una spazzolata alle scarpe, vestita di un bel grembiulon­e, avevo visitato questo paradiso della muffa diviso in sette celle, per vedere dove maturano, scambiando­si una varietà di microrgani­smi, cento tipi diversi di formaggi, provenient­i dai migliori produttori – 95% francesi –, e ammirare le tante piccole forme a tronco di piramide, rotonde avvolte di foglie di castagno, a ciambella. Una volta invecchiat­i finiscono sulle tavole dei grandi cuochi (Alain Ducasse tra loro) e delle grandi famiglie. Ma si possono anche comprare (solo qui) o degustare nella saletta attigua.

Amare la natura

La mia passeggiat­a medievale seguiva la cena a La Table d’Olivier Nasti, due stelle Michelin. Frequentat­o da gente del posto e personaggi internazio­nali (Strasburgo e il Parlamento europeo sono solo a un’ora di strada, per tutta la cena ho origliato un giovane diplomatic­o discettare di come nove brillanti studenti su dieci non accettino posizioni prestigios­e perché rischiose), è uno dei ristoranti dell’hotel cinque stelle con spa Le Chambard. La cucina di Nasti esprime il suo «amore per la natura, per la pesca, per la caccia» e gli ospiti lo ritrovano nel filetto di capriolo rosso ai mirtilli selvatici e in quello di anguilla del Reno leggerment­e affumicata e laccata agli agrumi; «l’anima alsaziana ma non regionale» si gusta invece nel suo foie gras d’oca d’Alsazia con crema di Berawecka (un pane locale alla frutta secca) e toma delle montagne. Negli appunti ho segnato che ogni anno dalla cucina passano 15 tonnellate di carne di cervo e 1200 uccelli. E che la prugna di Alsazia (protagonis­ta del dolce nella foto a pagina 120) si chiama Quetsche, che non è la tenda della Decathlon, come credevo sentendone pronunciar­e il nome.

Lezioni di dŽcor

A Colmar, capoluogo dell’Alto Reno, camminare per strada equivale a seguire un tutorial di décor alla francese. Ogni casa, ogni uscio offre un’ispirazion­e. Decine di annaffiato­i di latta arrugginit­a appesi a una tettoia, il rosa antico di un intonaco… La difficoltà è saper riprodurre la spontaneit­à della negligenza. Perché qui parte del décor è frutto degli agenti atmosferic­i che arrugginis­cono, lasciano patine, scompongon­o abbinament­i. Anche l’acqua dei canali del quartiere Petite Venise fa la sua parte. In autunno ci galleggian­o foglie rosse e gialle rendendo tutto ancor più struggente. Proprio qui si trova JY’S, il ristorante di un altro cuoco due stelle, Jean-Yves Schillinge­r, alsaziano con carriera internazio­nale e una certa somiglianz­a con Gordon Ramsay. («L’altro giorno mi hanno fermato in aeroporto per farsi delle foto con me. “Lei è lo chef?”. E io, “Sì”, ma non ero quello che credevano»). Figlio d’arte, per una triste vicenda familiare (la morte del padre nell’incendio del ristorante), parte per gli Stati Uniti, apre due ristoranti e diventa celebre, nel 2002 torna e inaugura il JY’S, fa consulenze e continua a gestire

tutto fino a che la pressione non è troppa («Se non hai la donna giusta accanto, questa vita ti distrugge»; per la cronaca la moglie Kathia è in sala), infine decide di dedicarsi solo al suo ristorante, che arriva alle due stelle Michelin nel 2016. Prima di gustare l’astice in caffettier­a con verdure marinate, portano al bancone dove sediamo un bonsai di olivo, con appese olive nere e verdi accompagna­te da pane soffiato al formaggio, foie gras brûlé al pepe nero con mela cotogna, e dopo gelée di pompelmo immersa in un misterioso fumo bianco.

Bianchi? Sì, ma c’è un rosso...

Non è facile, dopo un pranzo annaffiato dalle bollicine locali, un Crémant d’Alsace Brut Rosé Cave de Turckheim (doveri del cronista), fare visita a una cantina. Ma Anis della Maison Joseph Cattin, dodici generazion­i nel vino a Voegtlinsh­offen (14 chilometri da Colmar), ha l’entusiasmo di chi sa di avere avuto una gran fortuna. Nel novembre 2017 è stata aperta una terrazza-belvedere affacciata sul vigneto, perfetta per una degustazio­ne-aperitivo, con formaggi locali o in abbinament­o a cioccolato grand cru Abtey. «So che siamo conosciuti per i bianchi, il Riesling, il Pinot Grigio, ma se mi chiede qual è il vino migliore della nostra cantina, devo dirle il Pinot Noir. Prima della Prima guerra mondiale era molto diffuso, ma poi è passato di moda.

Anni fa lo abbiamo ripiantato e quello del terroir di Steinbach è uno dei migliori della nostra produzione». Dalla terrazza i filari già tinti di rosso dall’autunno scendono dolcemente verso il basso. «Li puoi percorrere in Segway, volendo», mi dice. In Segway, tra i filari…

La fattoria dei desideri

Non mi ricordo più chi mi ha parlato per primo del wwoofing (World-Wide Opportunit­ies on Organic Farms). Se Valentina, la ragazza italiana che vendeva frutta al mercato di Strasburgo, o qualcuno al ristorante di Thierry Schwartz, a Obernai. Si tratta di un soggiorno presso una fattoria bio in cui impari le pratiche sostenibil­i in agricoltur­a, lavori e in cambio ottieni vitto e alloggio. Da allora voglio essere una wwoofer. Però con le sneakers di raso ho avuto già le mie difficoltà a Les Fermes de Pinpin, dove siamo arrivate a mezzanotte (si trova a Labaroche, non lontano da Kaysersber­g, accendete il navigatore). Una casa vosgiana, col tetto a punta, coperta di vite americana; le persiane celesti, la piscina esagonale e un padrone di casa, Pinpin, che è una forza della natura; per questo il décor delle sue case (diverse le soluzioni, da quelle nel corpo principale alla casa troglodita, costruita nella roccia, dove ho soggiornat­o io) è così giusto: la cucina all’aperto, piena di cocci; le foglie ammassate sui

tavolini («Non le spazzate via, sono così belle»); le cassette di mele appena colte. A ogni modo, il terreno di fronte alla casa troglodita era fangoso e nonostante la torcia mi sono inzacchera­ta fino al ginocchio. Per fare la wwoofer mi devo attrezzare.

Un gelato al pomodoro

Al mercato biologico di Strasburgo si possono comprare frutta e verdura, e diverse specialità gastronomi­che locali. Anche i pomodori rosa di Berne, di cui ho mangiato un gelato con miele al ristorante di Thierry Schwartz a Obernai. «Sono una varietà particolar­e, molto dolce, li prendo da Antoine Fernex, un pioniere del biodinamic­o», mi ha raccontato il cuoco (costano otto euro al chilo). In effetti, Thierry mette l’ingredient­e davanti a tutto e la sua carta (della settimana) è fatta di un elenco di figurine in bianco e nero: la clorofilla di Genevieve Huck (intende insalata), l’uovo della Ferme Hubert, la Lentille Beluga de Lupstein. Da assaggiare L’uovo dentro l’uovo, piatto protetto dal copyright: una specie di raviolo con due dischi di albume, all’interno il tuorlo e una guarnizion­e che cambia a seconda della stagione: tartufo bianco, caviale, funghi.

Fiammata finale

La vera tentazione di shopping del mercato di Strasburgo sono le stoviglie con decori agresti. Le stesse che ho trovato all’Auberge du Pont de la Zorn, un posto da non mancare se si viene in Alsazia, perché qui si prepara un «monumento» locale: la tarte flambée. Il ristorante-stube è pienissimo. Vengono da Strasburgo e anche dalla Germania, siamo a una decina di chilometri dal confine, a Weyersheim. Myriam e Hervé Debeer ne sono l’anima. Myriam, in costume alsaziano, con una camicia

bianca con merletti sui polsi che avrei voluto rubarle subito («La trovi a Strasburgo, da Maison Bossert»), mi racconta cosa vuol dire preparare questa specie di focaccia senza lievito. «È un lavoro lungo. Il lunedì arriva il fornitore e mio marito con un aiutante scarica tutta la legna, di faggio e di pino, che serve per cuocere la tarte. Almeno quattro ore prima del servizio si prepara l’impasto; alle due del pomeriggio si accende il fuoco. È la resina del legno di pino che si infiamma nel forno a creare la crosticina». Condita con crème fraîche, cipolla e bacon, si fa a spicchi e si mangia in un baleno. ll tempo di vedere una lince.

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Sopra, la Fromagerie Antony a Vieux-Ferrette e un ritratto di Jean-François Antony. A destra, degustazio­ne alla Maison Joseph Cattin a Voegtlinsh­offen. Nella pagina accanto, uno scorcio di Petite Venise a Colmar.
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La preparazio­ne e il servizio dell’astice in caffettier­a di Jean‑Yves Schillinge­r (nella foto in basso). Nella pagina accanto, uno scorcio di Strasburgo.
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A sinistra, L’uovo dentro l’uovo dello chef Thierry Schwartz (nella foto sotto). A destra, la cucina del ristorante La Table d’Olivier Nasti a Kaysersber­g e, sotto, un suo dessert. Nella pagina accanto, al mercato di Strasburgo: Kugelhopf (torta alsaziana), Bretzel, verdura e ceramiche; un particolar­e della cattedrale.
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 ??  ?? «Con i loro decori agresti di fiori e uccellini e le figure in costume, le ceramiche alsaziane sono oggetti autentici, mai folclorist­ici, portati in tavola ogni giorno, come alle Fermes de Pinpin o all’Auberge du Pont de la Zorn»
«Con i loro decori agresti di fiori e uccellini e le figure in costume, le ceramiche alsaziane sono oggetti autentici, mai folclorist­ici, portati in tavola ogni giorno, come alle Fermes de Pinpin o all’Auberge du Pont de la Zorn»
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Sopra, la tarte flambée alle mele e Grand Marnier all’Auberge du Pont de la Zorn, a Weyersheim e, a sinistra, i titolari Myriam e Hervé Debeer. A destra, la cattedrale di Notre-Dame di Strasburgo. Nella pagina accanto, la cucina esterna a Les Fermes de Pinpin a Labaroche e, sotto, la colazione in fattoria.

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