Corriere della Sera - La Lettura
Il desiderio e la morale Scene da una resa dei conti
Estremi Giordano Tedoldi chiede al lettore uno sforzo, generosamente ripagato, per accompagnarlo in una vicenda di attrazione, tradimento ed eccentriche utopie Una riflessione, in forma di romanzo, sui limiti dell’amore e dell’etica
Uscendo una sera da una festa ubriaco, Piero saluta la padrona di casa Emilia, un’amica che non incontrava da tre anni. Tre anni che improvvisamente al protagonista «erano sembrati trenta, erano sembrati come l’ultimo passaggio della Cometa». Piero la vuole rivedere al più presto e quel suo desiderio inaspettato e circoscritto diventa la scintilla di un Big Bang narrativo travolgente: Tabù, secondo romanzo di Giordano Tedoldi, autore parco di opere ma non di ambizione.
Piero Origo, professore di storia e filosofia in un liceo, vuole conquistarla e farci sesso, non solo perché bella, ma perché è la moglie del suo migliore amico, Domenico, scrittore pieno di sé e dalla fama internazionale per il romanzo Il mantello e la livrea, lontano per un tour conferenze in California. Il predatore colpisce nella prima parte del libro, ma da lì in poi gli equilibri si alterano e inizia una discesa in un altro mondo che è indagine delle dinamiche dell’amore e del desiderio.
L’io narrante tiene le fila e il ritmo di una vicenda di cui non è giusto rivelare troppo, tanto i giochi di svelamenti e l’architettura delle relazioni ne sono parte essenziale, e funziona anche per la resa efficace dei diversi personaggi. I primi compagni d’ avventura sono Dolly, l’amante spagnola che sta con Piero al momento della seduzione di Emilia, e Marco, fidanzato di Dolly ben cosciente dell’altra relazione. Già dalla seconda parte del libro, 4 anni dopo quel pomeriggio fatale con Emilia, i cambiamenti sono ra- dicali e Piero naviga verso i margini della società: Dolly è sparita e Marco, bloccato su una sedia a rotelle per un trauma alla schiena, in parte immaginario, causatogli da una spinta giù per le scale della ex, vive con il professore ormai senza lavoro.
I due sognano di recuperare almeno una delle donne che hanno amato e conviverci, creando una «sacra trinità». È solo il primo scatto eccentrico di una storia che, partita con toni a prima vista in bilico tra realismo e nevrosi, ne avrà diversi, in un crescendo di affascinante rarefazione grottesca e distopica tenuto insieme, in fondo, da Piero e dal suo «lasciarsi scorticare dalla vita». Ci saranno una comune, chiamata Xanadu, dal poema Kubla Khan di Samuel Taylor Coleridge, in un castello in riva al mare dove vivere a pieno e liberamente il proprio desiderio, un campeggio dove sopravvivere quasi come animali, un’epidemia dalle origini simboliche.
L’arco della deriva creato da Tedoldi tiene il lettore attaccato alla pagina, anche perché gli ingredienti, come l’alternarsi di pensieri filosofici a dialoghi ben cesellati e a scene anche crude, sono amalgamati in una scrittura scorrevole e lucida, cosciente di sé, della sua forza sia speculativa che rappresentativa. Questa sicurezza stilistica è accompagnata da giochi di costruzione della storia che talvolta disorientano il lettore, come avviene nella quarta e quinta parte del romanzo, quando improvvisamente cambia il narratore e la vicenda di Piero viene raccolta e completata da un altro testimone affetto da schizofrenia di cui non sveleremo l’identità, ma che arriverà a toccare orizzonti anche teologici, fino ad affermazioni come: «Uomo, Dio e Mondo, come diceva la vecchia metafisica. Non c’e altro. Sono sempre lì a tramare qualcosa».
Una storia visionaria, centrata sull’esplosione del desiderio e del suo scontrarsi frontale con la morale, dove il tabù da rompere cui si riferisce il titolo non è semplicemente e solo quello del nono comandamento («Non desiderare la donna d’altri») ma di tutto ciò che da esso è derivato, concretamente, nella civiltà occidentale, nel cuore di quella «poltiglia etica che chiamiamo società». In questo Piero Origo, il cui nome nasconde una variante di Pietro e il cognome è «origine» in lingua latina, prova a essere il primo di una nuova idea sociale libera nel desiderio, e non lo fa per amore, ma perché, come gli dice l’amico Marco, «noi amorali abbiamo diritto di rivendicare le nostre ragioni a fronte di questa disgustosa faccenda che è diventata la morale, che poi ormai è la morale delle guardie». Una sfida difficile ed epica, come lo sono le ultime parti del libro, e certo filosofica, all’ombra di Friedrich Nietzsche e di René Girard che smottano segretamente l’impianto concettuale della storia, che riesce impegnativa per il lettore, ma illuminante.
Tedoldi si conferma autore di libri alieni al panorama narrativo cui ormai ci siamo abituati e ci riesce anche per una fiducia gnoseologica nel gesto narrativo, non di semplice narratore né di cronista in pasta sociologica del presente. L’economia del desiderio è un tema che arriva al cuore dell’attualità, la colpisce di riflesso e concettualmente. Un romanzo del genere, raro, è una spinta a pensare, è una domanda che galoppa come Piero in spiaggia a cavallo del suo Hans. Tutto ciò riesce perché Tedoldi ha una poetica coerente anche nella mossa inattesa: uno scrittore scacchista, tema presente in certi suoi racconti, che mette in inquieto stallo il lettore.