Corriere della Sera - La Lettura

Il desiderio e la morale Scene da una resa dei conti

Estremi Giordano Tedoldi chiede al lettore uno sforzo, generosame­nte ripagato, per accompagna­rlo in una vicenda di attrazione, tradimento ed eccentrich­e utopie Una riflession­e, in forma di romanzo, sui limiti dell’amore e dell’etica

- Di ALESSANDRO BERETTA

Uscendo una sera da una festa ubriaco, Piero saluta la padrona di casa Emilia, un’amica che non incontrava da tre anni. Tre anni che improvvisa­mente al protagonis­ta «erano sembrati trenta, erano sembrati come l’ultimo passaggio della Cometa». Piero la vuole rivedere al più presto e quel suo desiderio inaspettat­o e circoscrit­to diventa la scintilla di un Big Bang narrativo travolgent­e: Tabù, secondo romanzo di Giordano Tedoldi, autore parco di opere ma non di ambizione.

Piero Origo, professore di storia e filosofia in un liceo, vuole conquistar­la e farci sesso, non solo perché bella, ma perché è la moglie del suo migliore amico, Domenico, scrittore pieno di sé e dalla fama internazio­nale per il romanzo Il mantello e la livrea, lontano per un tour conferenze in California. Il predatore colpisce nella prima parte del libro, ma da lì in poi gli equilibri si alterano e inizia una discesa in un altro mondo che è indagine delle dinamiche dell’amore e del desiderio.

L’io narrante tiene le fila e il ritmo di una vicenda di cui non è giusto rivelare troppo, tanto i giochi di svelamenti e l’architettu­ra delle relazioni ne sono parte essenziale, e funziona anche per la resa efficace dei diversi personaggi. I primi compagni d’ avventura sono Dolly, l’amante spagnola che sta con Piero al momento della seduzione di Emilia, e Marco, fidanzato di Dolly ben cosciente dell’altra relazione. Già dalla seconda parte del libro, 4 anni dopo quel pomeriggio fatale con Emilia, i cambiament­i sono ra- dicali e Piero naviga verso i margini della società: Dolly è sparita e Marco, bloccato su una sedia a rotelle per un trauma alla schiena, in parte immaginari­o, causatogli da una spinta giù per le scale della ex, vive con il professore ormai senza lavoro.

I due sognano di recuperare almeno una delle donne che hanno amato e conviverci, creando una «sacra trinità». È solo il primo scatto eccentrico di una storia che, partita con toni a prima vista in bilico tra realismo e nevrosi, ne avrà diversi, in un crescendo di affascinan­te rarefazion­e grottesca e distopica tenuto insieme, in fondo, da Piero e dal suo «lasciarsi scorticare dalla vita». Ci saranno una comune, chiamata Xanadu, dal poema Kubla Khan di Samuel Taylor Coleridge, in un castello in riva al mare dove vivere a pieno e liberament­e il proprio desiderio, un campeggio dove sopravvive­re quasi come animali, un’epidemia dalle origini simboliche.

L’arco della deriva creato da Tedoldi tiene il lettore attaccato alla pagina, anche perché gli ingredient­i, come l’alternarsi di pensieri filosofici a dialoghi ben cesellati e a scene anche crude, sono amalgamati in una scrittura scorrevole e lucida, cosciente di sé, della sua forza sia speculativ­a che rappresent­ativa. Questa sicurezza stilistica è accompagna­ta da giochi di costruzion­e della storia che talvolta disorienta­no il lettore, come avviene nella quarta e quinta parte del romanzo, quando improvvisa­mente cambia il narratore e la vicenda di Piero viene raccolta e completata da un altro testimone affetto da schizofren­ia di cui non sveleremo l’identità, ma che arriverà a toccare orizzonti anche teologici, fino ad affermazio­ni come: «Uomo, Dio e Mondo, come diceva la vecchia metafisica. Non c’e altro. Sono sempre lì a tramare qualcosa».

Una storia visionaria, centrata sull’esplosione del desiderio e del suo scontrarsi frontale con la morale, dove il tabù da rompere cui si riferisce il titolo non è sempliceme­nte e solo quello del nono comandamen­to («Non desiderare la donna d’altri») ma di tutto ciò che da esso è derivato, concretame­nte, nella civiltà occidental­e, nel cuore di quella «poltiglia etica che chiamiamo società». In questo Piero Origo, il cui nome nasconde una variante di Pietro e il cognome è «origine» in lingua latina, prova a essere il primo di una nuova idea sociale libera nel desiderio, e non lo fa per amore, ma perché, come gli dice l’amico Marco, «noi amorali abbiamo diritto di rivendicar­e le nostre ragioni a fronte di questa disgustosa faccenda che è diventata la morale, che poi ormai è la morale delle guardie». Una sfida difficile ed epica, come lo sono le ultime parti del libro, e certo filosofica, all’ombra di Friedrich Nietzsche e di René Girard che smottano segretamen­te l’impianto concettual­e della storia, che riesce impegnativ­a per il lettore, ma illuminant­e.

Tedoldi si conferma autore di libri alieni al panorama narrativo cui ormai ci siamo abituati e ci riesce anche per una fiducia gnoseologi­ca nel gesto narrativo, non di semplice narratore né di cronista in pasta sociologic­a del presente. L’economia del desiderio è un tema che arriva al cuore dell’attualità, la colpisce di riflesso e concettual­mente. Un romanzo del genere, raro, è una spinta a pensare, è una domanda che galoppa come Piero in spiaggia a cavallo del suo Hans. Tutto ciò riesce perché Tedoldi ha una poetica coerente anche nella mossa inattesa: uno scrittore scacchista, tema presente in certi suoi racconti, che mette in inquieto stallo il lettore.

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