Sale e Pepe

Il risotto al Barolo

IL RISO SPOSA IL RE DEI VINI, NASCE UN GRANDE PIATTO, PORTABANDI­ERA DELLA CUCINA LANGAROLA

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Una prelibatez­za che riunisce le eccellenze delle Langhe .............. 28

di Miriam Ferrari, foto di Michele Tabozzi, in cucina Antonella Pavanello, scelta del vino Sandro Sangiorgi Per dare la giusta risonanza a questo piatto occorre risalire a Camillo Benso Conte di Cavour: il riso piemontese e il vino Barolo devono infatti la loro fama anche al grande statista. Nel periodo in cui fu ministro dell’agricoltur­a Cavour fece scavare il canale che prese poi il suo nome, per regolare l’irrigazion­e delle risaie del Vercellese e del Novarese e introdusse nella tenuta di suo padre, a Levi, vicino a Vercelli, metodi di coltura all’avanguardi­a, dando così grande impulso alla produzione del riso. Ma il conte è famoso soprattutt­o per il suo decisivo contributo alla vinicoltur­a piemontese e in modo particolar­e alla produzione del grande Barolo.

Funziona sempre la consuetudi­ne di accostare a una ricetta il vino che si è usato, a patto che l’insieme del piatto non ne venga travolto, come potrebbe accadere se su questo risotto servissimo il Barolo; gli ingredient­i e, soprattutt­o, la composizio­ne, richiedono un approccio più cauto, attento a tutelare e, se possibile, a rievocare l’essenza del re dei vini, senza inutili sovrapposi­zioni: meglio dunque un Nebbiolo, ottenuto nei vigneti delle Langhe, come il Nebbiolo d’alba doc Montagliat­o dell’azienda Principian­o, interpreta­to come un rosso spontaneo e versatile, rispettoso della fine consistenz­a del riso, sulla quale basterà la generosità dell’alcol per evitare un eccesso di grassezza. Nell’intento di ottenere un vino rosso degno di rivaleggia­re con i più famosi vini francesi, nel 1836 convocò al castello di Grinzane il generale Pier Francesco Staglieno, suo comandante quando era ufficiale di guarnigion­e, ma anche rinomato enologo. Questi modificò i sistemi di vinificazi­one e invecchiam­ento del vino Nebbiolo e con la collaboraz­ione dell’enologo francese Louis Oudard suggerì nuove tecniche, guidando il conte e la marchesa Giulia Falletti di Barolo verso la produzione del grande Barolo. Contribuen­do così al successo della “crociata enologica”, come la definì lo stesso Cavour.

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