La riscossa del “quinto quarto”
L’elaborazione fantasiosa dei tagli meno nobili del maiale è alla base di molti piatti della tradizione contadina, attenta al sapiente utilizzo delle parti che non si potevano conservare. Una cucina “povera” perché di recupero, ma non certo priva di sapore. Ne è un esempio la robusta cassoeula (costine, cotenna, piedino e orecchie cotte con verza e salsiccia) tipica della “bassa” lombarda, come pure il cassoulet francese (con fagioli), i fegatelli alla toscana, i fagioli con le cotiche laziali. Tagli che richiedono una certa preparazione (il piedino, ad esempio, va bruciacchiato per eliminare le setole, poi lavato con cura e prelessato prima delle preparazioni in umido) cotture a volte separate e di conseguenza più lunghe. Caratteristiche poco conciliabili con i ritmi della società moderna, per cui il progressivo abbandono dei tagli “minori” è stato inesorabile. «Fino agli anni ‘70 la nostra macelleria li regalava ai clienti, roba da leccarsi i baffi, ma poi non li hanno più voluti, nemmeno gratis» racconta Giovanni Tamburini, autore del volume “Maiali si nasce, salami si diventa” e titolare dell’antica salsamenteria di famiglia, vero tempio bolognese della lavorazione del maiale. Come spesso succede, però, chi si fa portavoce del recupero dei cibi dimenticati e della loro valorizzazione in chiave innovativa sono gli chef stellati. Giancarlo Perbellini già 10 anni fa proponeva orecchie di maiale rosolate con dadolata di zucchine e mattonella di piedini fritti su puré di patate. Recentemente, lo chef Chicco Cerea ha presentato i suoi fagottini di maiale (orecchie bollite farcite con funghi e formaggio e avvolte nella retina di maiale, sfumate con Marsala). «Il taglio più ricercato è la guancetta, più saporita di quella di bovino» dice Aldo Zivieri, titolare della storica macelleria di famiglia a Monzuno (Bo), punto di riferimento per l’alta ristorazione. Molto richiesta anche la rete, ideale per chiudere involtini e arrosti, che rimangono più morbidi; va prima ammorbidita in acqua ed è interessante perché “sparisce”quando si rosolano le carni, ma non rilascia ciò che avvolge. Più scuro di quello di vitello, il fegato di maiale si cucina nello stesso modo, come nella tipica ricetta “alla veneziana”, con cipolle. «Il fegato di maiale è più saporito – aggiunge Zivieri – e la sua qualità dipende da molti fattori, come l’età dell’animale e il metodo di allevamento». Non a caso, per controllare tutta la filiera, Zivieri alleva capi di Cinta senese e di Mora romagnola allo stato semibrado, sull’appennino, da cui ricava prodotti freschi o stagionati, sia per la ristorazione, sia per i privati. «Il piedino di Mora ha bisogno di mezz’ora di cottura in più, ma il sapore ripaga». Parola di Aldo Zivieri. (P.M.)