Pizza alla romana
LA SPECIALITÀ DEI FORNI CHE NASCE BIANCA, PRONTA PER LE FARCITURE DI TRADIZIONE O PER NUOVE E SAPORITE FANTASIE
Poteva capitare solo nella nostra fantasiosa terra che due città poco distanti come Roma e Napoli dessero i natali a specialità dallo stesso nome eppure diverse tra loro. Parliamo nientemeno che della pizza, regina dello street food, del fast food e, ben prima che i cibi si chiamassero food, dei forni di queste città. Con la sostanziale differenza che a Roma la pizza non si fregia né di pomodoro, né di mozzarella (e tantomeno dei capperi che le attribuiscono extra urbe). La pizza a Roma è bianca, persino più immacolata della focaccia genovese ma meno unta, meno soffice e anche meno sapida. Una pizza insomma, che più semplice, più economica, più leggera, non si può, ma proprio per questo ideale per accompagnare tante
farciture e momenti della giornata, dalla prima colazione in poi. “Pizza e mortazza”, si dice a Roma, con la solita inclinazione capitolina per i nomi intemperanti e ineducati. In realtà si tratta di una deliziosa pizza dalla forma allungata, infornata più volte al giorno dal panettiere, sulla “pala” o in teglia, e poi farcita, sempre che abbia raggiunto altezza e consistenza sufficienti per essere “spaccata”, ovvero tagliata in due senza rompersi. Ogni volta è un rischio da affrontare con trepidazione. Ma poi la pizza è divisa: la mortadella, lo stracchino, il prosciutto con i fichi se si è d’estate o la semplice cicoria ripassata in padella se è inverno, sono pronti a saltarci dentro, e si può mordere uno spuntino regale a un prezzo davvero stracciato.
Così regale che alla sapienza dei fornai da qualche anno si è aggiunta quella di pizzaioli gourmet come Gabriele Bonci o il giovane Jacopo Mercuro. A loro si deve la raffinatezza delle nuove pizze alla romana, farcite di estro o trasformate in “tele” delle più tipiche specialità romanesche: dal guanciale alle acciughe, dall’amatriciana alla trippa o alla picchiapò. A Bonci si deve pure la traduzione e diffusione della ricetta base in forma accessibile alle cucine domestiche, lo svelamento dell’estrema idratazione necessaria alla pizza romana, delle piegature indispensabili per intrappolare l’aria, delle tante farine di qualità utilizzabili, dell’importanza di possedere pochi e semplici attrezzi ma sperimentare molto. Due anni or sono, altri maestri pizzaioli hanno depositato il disciplinare di produzione dell’autentica pizza in teglia alla romana ad alta idratazione (Apiter). Dove il metodo Bonci osa persino farine di grani antichi e integrali, il disciplinare raccomanda l’uso di una farina “forte”, in grado di tenere moltissima acqua e sopportare tempi di lievitazione particolarmente lunghi. In entrambi i casi, il risultato è fedele alle aspettative di una pizza ben alveolata ma regolare, con un morso pieno di nerbo eppure leggero e digeribile. Ottima di sapore e di profumo. D.F.